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Sir Conad, Quasar gremito per la presentazione dell’autobiografia di Bernardi: “L’ho scritto per raccontare come ho raggiunto certi traguardi”

Scritto da il 09/06/2019

Se rimarrà sulla panchina della Sir Safety Conad Perugia non è ancora dato saperlo, ma l’affetto dei tifosi bianconeri per Lorenzo Bernardi non è certo scemato. Il centro commerciale Quasar di Ellera di Corciano era gremito da centinaia di persone che, malgrado la giornata festiva (che avrebbe invogliato in molti ad andare al mare), non si sono voluti perdere la presentazione de “La regola del nove”, l’autobiografia scritta dallo stesso tecnico trentino che ha voluto ripercorrere le tappe della sua vita sportiva e non solo. Bernardi si è presentato con le stampelle, retaggio di un intervento all’anca subito qualche settimana fa, e ha soddisfatto tutte le curiosità dei fans, dribblando però abilmente le domande sul suo futuro. Smentita dunque l’indiscrezione riportata da alcuni media locali che avevano parlato soltanto di un firma copie vista la situazione ancora da definire tra lui e la società: le emozioni non sono mancate (e la standing ovation finale è valsa più di mille parole), l’entusiasmo pure. Ma vediamo i passi salienti di questo pomeriggio domenicale del Quasar.

I PERCHÉ DI QUESTO LIBRO – “Io sono molto contrario a mettere i vetrina i miei trofei – ha così aperto il Lollo nazionale – Preferisco raccontare il modo, il come ho raggiunto determinati traguardi. Poco più di un anno fa sono stato contattato da Marcello Mancini, rappresentante di Perfomance Agency, che mi ha chiesto di scrivere questo libro. Io in un primo tempo ero contrario, poi mi ha chiesto di dargli una mia idea che del resto coincideva con la mia. E da qui è nato tutto”.

UN TITOLO PARTICOLARE – Il nove è un numero più volte ricorrente nella storia agonistica e non di Lorenzo: “Questo titolo mi è venuto cammin facendo. Perché questo numero? Mio fratello lo indossava quando giocava a pallavolo, mentre io l’ho sempre portato sulla maglia. Inoltre ho vinto nove scudetti ed infine mio padre è venuto a mancare il giorno nove”.

UNA FAMIGLIA DI SPORTIVI – “Lo sport è stato il nostro denominatore comune. Mio padre correva in moto, mio fratello ha praticato diversi sport, mia sorella era una sciatrice. Ci alzavamo alle tre di notte per vedere giocare in Australia l’Italia in Coppa David. Eravamo sempre sintonizzati sui canali sportivi”. Poi la svolta: “Avevo la scoliosi e mi è stato detto dal medico che avrei dovuto praticare ginnastica correttiva e nuoto. La prima è durata poco, il secondo era visto in inverno come spirito di competizione. In estate invece la piscina era un luogo di ritrovo. Poi è accaduto che il primo allenatore di mio fratello mi ha chiesto di venire a provare ed è qui cje è sbocciato l’amore per la pallavolo”.

UN INIZIO DIFFICILE – “A 14 anni sono andato a Padova – racconta Bernardi – e ho incontrato le prime grandi difficoltà. È stata la vicinanza di mia madre a permettermi di andare avanti. Ero in crisi anche perché a scuola non andavo bene. Poi mi sono trasferito a Modena vedendola come opportunità di migliorarsi e cercavo di rubare i segreti a Dall’Oglio, il palleggiatore titolare. Vinciamo lo scudetto e mi aspetto di giocare le finali di Coppa Italia, che erano in programma dopo il campionato. Ma invece non vedo mai il campo”. L’allenatore dell’epoca era un certo Julio Velasco: “Al termine di quella stagione mi chiama in disparte e mi dice che avevano preso Fabio Gullo. Eravamo sul lago di Arona. Mi inoltre prospettato due possibilità: o venivo dato in prestito, sapendo che magari non sarei più tornato, o cambiavo ruolo con la prospettiva di finire in due anni in nazionale. All’inizio ero scettico, poi gli ho creduto e ho fatto bene”.

I MODELLI, POCHI MA BUONI – “Come allenatore e persona devo molto a Velasco, che mi ha aiutato a crescere caratterialmente. Evidentemente devo aver avuto qualcosa di nascosto e lui me l’ha fatto uscire portandola all’ennesima potenza. Come giocatore invece Karch Kiraly, nominato insieme a me giocatore del secolo. In molti mi hanno chiesto se sarei stato più contento a ricevere singolarmente questo riconoscimento ma ho risposto di no: forse in questo modo devo aver preso il meglio da lui”.

UN ALLENATORE IN CAMPO – E pensare che fare l’allenatore era lontano in origine dalla testa di Lollo: “Questo mestiere non volevo farlo, poi in molti dicevano che ero l’allenatore in campo e ho pensato di mettere a disposizione dei più giovani il come raggiungere certi risultati”.

Enrico Fanelli – TIfoGrifo.com

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il 09/06/2019.
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