Lavoro, profilo basso e buon cuore: con Fabio Caserta, Perugia ha trovato il suo allenatore
Scritto da Redazione il 03/05/2021
La domenica di Salò si trasforma nel giorno della festa-promozione per il Perugia che, al termine di un campionato caratterizzato anche da momenti di sofferenza e crisi di risultati, torna in Serie B circa otto mesi dopo la bruciante retrocessione dello scorso agosto, decretata dalla lotteria dei rigori nel playout contro il Pescara.
Alla fine il tecnico Fabio Caserta, vero condottiero di questo gruppo infaticabile, ha avuto ragione. Contro il parere di tanti tifosi ed addetti ai lavori, l’allenatore ha sempre esortato tutti a restare concentrati, a non disperare nemmeno alla luce dei risultati più deludenti. Dopo l’amarissima sconfitta nel “mini-derby” col Gubbio e lo scialbo pareggio nel recupero di fine marzo contro la Fermana, i giochi per il primo posto sembravano fatti. Con sei punti di vantaggio, il Padova di Andrea Mandorlini pareva poter dormire sonni tranquilli o, al limite, dover preoccuparsi soltanto del Südtirol, vera mina vagante di alta classifica.
Invece no. Con le sconfitte rimediate a Trieste e Modena, la compagine veneta ha perso terreno proprio quando il Perugia, dopo l’intensissimo tour de force di marzo (ben 8 partite racchiuse in appena 29 giorni), aveva cominciato a recuperare pienamente la forma fisica. Aprile è stato così il mese della svolta, in un girone rivelatosi, sin dai primi mesi, fortemente livellato ed estremamente competitivo: cinque vittorie consecutive (Virtus Verona, Triestina, Ravenna, Matelica e Feralpisalò), di cui quattro tutt’altro che scontate, hanno sfruttato alla perfezione i passi falsi dei veneti, riportando in testa i grifoni in virtù dei risultati ottenuti negli scontri diretti (vittoria per 3-0 a Perugia e sconfitta per 1-0 a Padova).
Alla fine di una stagione regolare così lunga e combattuta, tutte le considerazioni sono comprensibili. Da un lato, l’euforia e la gioia incontenibile del Perugia e di Perugia, dove migliaia di tifosi sono scesi in strada con sciarpe e bandiere, in un gesto quasi liberatorio dopo una scottante retrocessione ed un’intera stagione trascorsa senza poter entrare negli stadi. Dall’altro, l’amarezza e le recriminazioni del Padova.
Indubbiamente, la rete decisiva segnata dalla Triestina nel derby del paron di qualche settimana fa è scaturita da un tocco di mano non visto dal direttore di gara. Eppure anche i grifoni, nelle due gare di recupero, fondamentali per la rincorsa sui biancoscudati, possono lamentare più di qualcosa: almeno un calcio di rigore non assegnato a Cesena ed un’espulsione ingiustamente subita a Fermo, che ha costretto il Perugia ad affrontare quasi un’ora di gioco in inferiorità numerica. Se ritenessimo questi episodi determinanti, dovremmo ascrivere loro ben quattro punti in meno. Ma davvero è possibile rileggere le partite in questo modo e ridisegnare ipotetiche classifiche “moralmente corrette”?
Gli errori arbitrali – che da molti anni in Italia abbiamo la pessima abitudine di sottolineare oltre ogni ragionevole logica – ci sono e ci saranno sempre. Come abbiamo visto in Serie A e nelle Coppe europee, il VAR stesso può al massimo ridurli ma non eliminarli, perché continuano ad esistere fattispecie di episodi dove la discrezionalità dell’arbitro, a termini di regolamento, è ancora decisiva. Certamente non è giusto dire che alla fine “tutto si compensa”. Sarebbe banale e semplicistico. Tuttavia non si può nemmeno presumere che un paio di sviste siano in grado, da sole, di decidere un intero campionato.
Il vizio italiano del sospetto costante ed il cospirazionismo spinto fino alla contraddizione portano molti tifosi, di tutte le squadre, a vivere il calcio in modo ossessivo e avvelenato, facendo perdere di vista il fattore fondamentale: il campo di gioco. È lì che si stabiliscono i rapporti di forza, è lì che emergono le qualità o le mancanze di un gruppo, le doti o i limiti di un calciatore. Tra i meriti principali di Caserta c’è stato senz’altro quello di non aver mai parlato di nient’altro che questo. Moduli di gioco, condizioni fisico-atletiche, cambi, profondità e linee di passaggio. Massima concentrazione sul lavoro, niente polemiche né lamentele, nessun fianco prestato a chi ha l’abitudine, purtroppo sempre più diffusa nel nostro Paese, di confezionare post o meme acchiappa-click a discapito dell’attinenza ai fatti o alle parole. Alle recriminazioni ci ha pensato la società, con il DG Gianluca Comotto che, comunque, quando è intervenuto, non ha mai negato i limiti mostrati in campo dalla squadra dopo un pareggio o una sconfitta.
Caserta, sfoderando uno stile ed un’impronta professionale che indubbiamente hanno conquistato Perugia e i perugini, ha pensato solo ed esclusivamente a lavorare, rimboccandosi le mani sin dal primo giorno. Ieri, nel dopogara, il tecnico ha ammesso quello che tutti avevamo sempre pensato, e cioè che la situazione, al suo arrivo, era letteralmente drammatica (dal punto di vista sportivo ovviamente). Una retrocessione appena rimediata, un gruppo incompleto e scoraggiato, tifosi inferociti contro la società: questi gli elementi di una tempesta perfetta in cui, probabilmente, nessun altro avrebbe avuto il coraggio di infilarsi.
Criticato, a volte anche duramente, per il presunto atteggiamento rinunciatario che avrebbe trasmesso alla squadra, l’allenatore ex Juve Stabia ci ha ricordato che nel calcio, come nella vita quotidiana, l’equilibrio è tutto e che fondamentale è la capacità di adattamento. Tanti, troppi allenatori passati per Perugia negli ultimi anni hanno insistentemente cercato di adeguare il gruppo al loro credo tattico. Il giovane Caserta, invece, senza mai scadere nell’improvvisazione, ha saputo mettere in discussione sé stesso, accantonando anche alcune convinzioni, almeno per un certo periodo, in funzione dei calciatori a sua disposizione e delle caratteristiche dell’avversario.
Pregio non certo secondario del tecnico è infine quello di riservare sempre un pensiero e una parola di conforto per tutti: dai suoi più stretti collaboratori ai sostenitori, cercando di immedesimarsi, attraverso il Museo del Grifo o la storia di Leonardo Cenci, in un ambiente che – complice la pandemia – non ha potuto sin qui frequentare. I tifosi, da parte loro, hanno cominciato a conoscerlo pian piano, giorno dopo giorno. Tanti perugini hanno così capito di aver trovato una persona schiva, riservata, onesta e concreta. Proprio come loro.
Andrea Fais per TifoGrifo