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Basta umiliazioni. La città e la tifoseria non meritano questa situazione

Scritto da il 19/03/2021

Era il 30 maggio 1948 quando il Perugia uscì sconfitto per l’ultima volta, prima di mercoledì scorso, in una partita col Gubbio. L’Italia stava cercando faticosamente di rialzarsi dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale, il Piano Marshall era stato approvato da un paio di mesi e l’Operazione Borodino decisa da Stalin per armare nuclearmente l’URSS era ancora in cantiere.

Quasi settantatre anni dopo, la squadra di Vincenzo Torrente ha interrotto questo lunghissimo digiuno e ha battuto clamorosamente per 3-2 il Perugia di Fabio Caserta in una partita quasi incredibile, dove l’impresa della matricola rinvigorisce lo sfottò ed alimenta il campanilismo non solo dei tifosi rossoblu ma anche di quella parte, invero piuttosto estesa, di regione che non ha mai accettato o riconosciuto – per motivi storici, politici, culturali o glottologici – Perugia come capoluogo.

La caduta dei grifoni nella città dei ceri è soltanto l’ultima – in ordine di tempo – di una serie di umiliazioni che i tifosi del Grifo sono stati costretti a subire sotto la gestione Santopadre nel corso degli ultimi anni. Dalle clamorose debacle casalinghe, come l’1-4 contro il Novara nella stagione di Bisoli, l’1-5 contro la Pro Vercelli e lo 0-3 contro il Cesena sotto la gestione Giunti, all’assurdo 2-3 nel derby contro la Ternana, subito in rimonta dopo essere passati in vantaggio per 2-0 nel primo tempo.

Senza contare i vari playoff, tutti puntualmente persi direttamente nella gara di debutto: in Serie C contro il Pisa nel 2012-’13, in Serie B contro Pescara (2014-’15), Benevento (2016-’17), Venezia (2017-’18) e Verona (2018-’19). Poi il playout dello scorso anno, ancora contro il Pescara, deciso dalla lotteria dei rigori, che ha sancito la retrocessione e l’amaro ritorno nella terza serie.

Cambiano gli allenatori, i giocatori e i direttori sportivi ma il risultato è sempre lo stesso. Al momento decisivo, questa squadra non riesce mai a compiere il salto di qualità necessario a vincere le partite importanti. Tra quelle maglie biancorosse non riusciamo mai a scorgere quel giocatore capace di spostare gli equilibri nelle sfide che, come si dice in gergo, valgono una stagione intera.

La contraddizione principale sta a monte, ovviamente. Com’è possibile costruire un organico competitivo senza adeguati investimenti? Ogni anno, il calciomercato del Perugia segue sempre le stesse regole: minimizzare le uscite e massimizzare le entrate. Lecito, si potrebbe obiettare. Eppure cieco, controproducente, insensato dal punto di vista imprenditoriale, risponderemmo noi, ed in ogni caso irrispettoso verso quei tifosi, quei calciatori, quei dirigenti e quella città che nei decenni passati hanno reso attrattivo ed appetito il nome della piazza.

Quello del Perugia non è solo un semplice titolo sportivo ma un marchio, ancora capace di attrarre giovani allenatori e giocatori, esaltati all’idea di poter fare esperienza in un ambiente che, soltanto guardando alle gigantografie esposte nei locali del Museo del Grifo, incute grande rispetto ed il giusto timore in chi sa – o dovrebbe sapere – di avere un’enorme responsabilità sedendo su quella panchina o calcando quel manto erboso.

Chi ha a cuore le sorti e l’immagine della città non può restare impassibile di fronte ad uno scenario del genere, dove lo strappo ormai insanabile tra Massimiliano Santopadre e la quasi intera tifoseria, covato per almeno tre anni e adesso giunto a saturazione, sta svuotando l’ambiente di qualsiasi residuale entusiasmo e spegnendo la passione del popolo biancorosso.

Al di là del risultato che il Perugia otterrà alla fine di questo campionato, è evidente che l’assenza di una strategia competitiva sta portando la squadra verso una deriva sportiva che il popolo biancorosso non merita. L’auspicio è che si possa aprire una fase nuova già nei prossimi mesi, consentendo ad un ciclo di chiudersi e ad un altro di avviarsi.

 

Andrea Fais

Scritto da
il 19/03/2021.
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