Volevo volare (ma agosto è vicino)
Scritto da Federico Basigli il 14/06/2017Scrivere alla fine di un campionato non è mai facile, scrivere al termine di questo campionato, e di questi playoff, è – se possibile – ancora più difficile.
Il Grifo ha sfiorato un sogno ed è tornato a graffiare con orgoglio, come quasi sempre fa. La sensazione è che abbiamo accarezzato un risultato epocale e l’averlo perso fa male ancora di più.
Se lo scorso anno il campionato è scorso via come un lento countdown verso altro, quest’anno si è avuta la sensazione che il giocattolo abbia funzionato alla grande e che la promozione fosse davvero a portata di mano. C’è amarezza perché in fondo la Serie A sarebbe stata un premio per un gruppo che ha lavorato bene, crescendo ed acquisendo consapevolezza.
Resta un anno bellissimo, ma ripartire dopo un anno bellissimo non è mai facile, per informazioni potete citofonare al Trapani. Certe volte è più facile ripartire con entusiasmo dopo un periodo buio piuttosto che quando hai prodotto tanto, e bene, e ti ritrovi ai nastri di partenza con – per dirne una a caso – la unicusano ternana che ancora non ha capito come ha fatto a salvarsi.
Eppure.
Resteranno alcune basi (la società, alcuni giocatori) che per rimanere ai vertici – e magari migliorare – dovranno fare un altro percorso quasi netto, azzeccando le scelte come avvenuto per la stragrande maggioranza di quanto fatto quest’anno.
Resta da capire cosa non ha funzionato al massimo, quei piccoli – grandi ostacoli che ci hanno impedito di arrivare a realizzare il sogno.
IL PERCORSO IN CAMPIONATO
Bucchi è stato subito bravissimo. Ci ha messo poco ad ambientarsi nella serie B ed ancora meno a dare un senso alla squadra.
La partita contro il Cesena, la prima di campionato, è una sorta di manifesto programmatico: centrocampo mobile, ritmi alti, possesso palla, precisione, palleggio. Si dice che al pubblico di Perugia piaccia vedere squadre che giocano bene a calcio. Posto che non mi risulta che altre piazze impazziscano per veder giocar male, il Grifo torna a raccogliere il filo che era caduto a terra con l’addio di Camplone tornando al progetto di far punti attraverso il gioco.
L’intento è chiaro, i risultati non sono subito consequenziali.
Le vittorie non arrivano subito, ed i punti dopo le prime partite sono pochi: brava la società a difendere le scelte fatte, concedendo poco ai sentimenti spesso vari – e spesso isterici – della piazza (la conferma di Bianchi, in questo quadro, è una concessione ad una fetta di pubblico).
Bravo il mister a continuare a cercare i risultati col gioco, ed i risultati piano piano iniziano ad arrivare.
Il Grifo inanella prestazioni e vittorie, sia in casa che paradossalmente ancora di più in trasferta, quando quel po’ di forza d’urto che manca davanti viene sublimata dal gioco corale che trova in Di Carmine e Nicastro (spesso vero e proprio uomo della provvidenza) gli elementi più pericolosi della squadra. Con i loro pressoché contemporanei infortuni si apre un periodo difficile che porta a dissipare diversi punti, subendo qualche rimonta di troppo.
Nel frattempo il mercato di gennaio toglie al Perugia un titolare come Zeblì a centrocampo ma amplia i margini di scelta di Bucchi su fasce ed attacco. Il Grifo mantiene comunque una identità importante, e se perde a tratti in brillantezza supplisce con un percorso di consapevolezza non banale che porta la squadra in zona playoff staccando definitivamente squadre sulla carta non inferiori come il Bari o il Novara.
La parte finale del campionato non è di facile lettura, dato che si distribuisce tra il dover far punti per disputare i playoff ed il centellinare gli sforzi per arrivare all’appuntamento in maniera decente.
COSA E’ MANCATO – IL PECCATO ORIGINALE (DI GENNAIO)
Partendo dal presupposto che il Perugia si è molto ben comportato, alcune sbavature ci sono comunque state. La più grande, a mio avviso, deriva dalla mancanza di quel centrocampista “di lotta e di governo” che una palla come quella che ha perso Gnahorè la poteva anche perdere, ma 3 nanosecondi dopo Chibsah era per terra e noi si subiva una ammonizione, e non un gol decisivo.
La maggiore mancanza del Grifo, per me, è dovuta proprio alla mancanza di una figura come questa che è fondamentale, ad esempio, nel dettare i tempi della partita e nel prendere quelle decisioni che, se sbagliate, rischiano di mandare a donne di facili costumi l’intero campionato. In generale il Grifo caratterialmente ha sempre dato l’idea di saper usare il fioretto più che la sciabola, e forse anche in questo una ulteriore figura di centrocampo di nerbo avrebbe aiutato.
Per me, infatti, il vero peccato originale del Grifo in sede di allestimento di rosa è stato questo: la mancanza di un centrocampista centrale.
Un perno di centrocampo che avrei voluto potesse far rifiatare Brighi, far giocare i giusti minuti a Gnahorè e far crescere Ricci (Dezi ed Acampora non li nomino perché li reputavo perfetti per fare il titolare ed il suo cambio / subentrante).
La mancanza di un giocatore a centrocampo, che fosse alla Pippo Porcari (alla Viola, alla Zuculini, alla … Ledesma), o alla… Giunti (con altre caratteristiche, di costruzione, magari aver riavuto il buon Prcic, Schiattarella, quel Vives che non mi convinceva ma a Vercelli onestamente ha fatto i numeri), la mancanza, insomma, di un “volante” esperto ha portato a non poter far riposare Brighi quando ne aveva bisogno ed a sovraesporre Gnahorè che tornava, giova ricordarlo, da un lungo infortunio.
Su Ricci bisognerebbe scrivere un articolo a parte: avevo aspettative molto alte su di lui e potenzialmente ha tante buon qualità per essere un ottimo calciatore, ma al momento non riesce a governare i tempi di gioco, rischiando sempre la giocata verticale anche quando non dovrebbe o scomparendo nelle pieghe della partita senza lasciare traccia, senza mezze misure.
Ecco, se quest’anno c’è un giocatore che ha deluso nel suo percorso di crescita individuale sicuramente, per me, è lui, anche se ho il sospetto che forse non ci fosse col mister un feeling tecnico – tattico così forte.
ALTRE CARENZE
Un altro giocatore che è clamorosamente mancato da dicembre in poi è stato, a mio avviso, Guberti. Lo strapotere fisico atletico di Di Chiara, che per quasi tutto l’anno ha viaggiato per due sulla fascia, ha spesso nascosto il calo dell’ala ex Bari, ma partita dopo partita è parso evidente che il Gubo non ne avesse più. Problema atletico risolvibile? Lo vedremo a settembre.
Molti hanno parlato della questione punta. È vero, aver avuto un Granoche, un Galabinov, avrebbe potuto fare la differenza. Eppure lo stesso Di Carmine ha tenuto un rendimento sempre molto elevato, così come Nicastro. La verità, probabilmente, è che giocando come abbiamo giocato mancava qualcuno a completare il reparto, se non altro sul piano dell’ampliamento del ventaglio di possibilità, anche perché sia Di Carmine che Nicastro hanno saltato tante, tante partite per infortuni vari, la maggior parte prima del mercato di gennaio.
Forse Forte meritava qualche occasione in più. O forse – e questa è la mia opinione – sarebbe stato opportuno giocare più spesso in modo diverso. In fondo il 4-3-3 del Grifo ha proposto davanti un’ala poco mobile, spesso regista occulto quando era al meglio (Guberti), un centravanti molto bravo ad aprire spazi ma di certo non pesante (Di Carmine) ed un centravanti messo in fascia che non ha nelle sue corde il dribbling (Nicastro).
L’unica ala vera, ancora più di Mustacchio, per me era Terrani.
A prescindere dal calo finale di Nicastro, penso che in alcune occasioni, specie quando la danza a centrocampo era diventata più farraginosa, sarebbe stato importante mettere due punte davanti per dare più peso all’attacco.
Questo accorgimento lo avrei sicuramente provato contro il Benevento, perché mettere due punte su Lucioni e Camporese avrebbe comportato un grado di impegno ben più elevato per la difesa sannita (e lo abbiamo visto per buona parte del secondo tempo al Curi, prima del cambio Volta-Guberti che ha fatto saltare un po’ tutti gli equilibri).
QUEI PICCOLI RIMPIANTI
Ho sentimenti contrastanti rispetto a Cristian Bucchi.
Premesso che dopo l’anno scorso anche scongelando un Eugenio Fascetti o un Nedo Sonetti si avrebbe avuto gioco facile a migliorare lo spettacolo offerto al Curi, qualcosa non mi ha convinto.
Non posso non volergli bene perché lo ritengo un ragazzo intelligente ed il fatto che sia tornato a far giocare il Grifo è da solo motivo di benevolenza. Non posso omettere che qualche errore nel corso dell’anno c’è stato, ma paradossalmente più nella parte finale del campionato che nella parte iniziale.
A mio avviso un altro anno a Perugia lo avrebbe aiutato, anche se la situazione che erediterà a Sassuolo sarà ottimale (i neroverdi sono una buonissima squadra, con possibilità alte, vengono da una annata mediocre per colpa di molti infortuni ed in sostanza secondo me possono solo migliorare).
Faccio gli auguri a Bucchi, insomma, ma spero che il suo successore, con una rosa adatta e condivisa, riesca a fare altrettanto bene. Anzi, meglio.
RESPONSABILITA’, COMPLIMENTI, UNITA’ DI INTENTI
Le responsabilità vanno in capo alla società ed a cascata su ogni singolo componente dell’A.C. Perugia.
Quindi innanzitutto i complimenti, aldilà dei quel che poteva essere e non è stato, vanno a tutti per la stagione, splendida, trascorsa.
Per quanto mi riguarda la salvezza è sempre il primo obiettivo, quindi arrivare ai playoff è qualcosa di mai scontato, ed il campionato precedente dovrebbe ricordarcelo.
Mi stanno veramente odiosi i tifosi, o pseudo tifosi, pronti a sparare su tutto e tutti, a buttare là l’illazione. Attaccare questo o quello perché una squadra con un budget onesto ma non al livello di molte altre non ha centrato l’obiettivo promozione non è da tifoso perugino, anzi, non è proprio da tifoso. A volte gli estremi si toccano e l’atteggiamento di alcuni capipopolo, in queste occasioni, collima perfettamente con quello dei tifosi occasionali. e penso sia un comportamento infantile e perverso. Penso che nessuno debba mettersi prima del Grifo, sopra il Grifo.
Scusate ma l’avevo nel gozzo.
Arrivare ai playoff vuol dire… avere altissime probabilità di fare il bregno. Frosinone e Perugia, partendo dalle semifinali, avevano il 25% di possibilità di salire; il Benevento, avendo fatto il preliminare, è salito capitalizzando il suo 12,5% di possibilità.
Si dice che il Perugia non sia “squadra da playoff”, ma io non lo credo: le sfide ad eliminazione diretta sono spesso sfide sul filo (ricordo quando salì il Bologna un paio di anni fa i suoi avversari di semifinale e finale colpirono i legni al 90esimo) e le ridotte possibilità di ogni singola squadra concorrono a rendere per tutti i partecipanti difficile vincerli, i playoff.
D’altro canto puntare alla promozione diretta, a guardare il lato squisitamente economico, è pura utopia: il solo paracadute che ha in dote chi retrocede fa sbiancare le nostre capacità finanziarie. È vero che servono tante qualità, e noi in quanto a capacità organizzative riusciamo a ricucire parte del gap che subiamo verso chi può spendere molto di più, ma se uno compra una Ferrari e noi lavoriamo al meglio per mettere in pista una macchina di cilindrata più bassa sappiamo che le possibilità di partenza sono diverse.
Non è una vergogna, anzi è un fattore che testimonia una volta di più lo splendido lavoro che la nostra società svolge, ma è un dato di fatto che non serve omettere, dato che esiste. Santopadre fa bene a dire di volere la serie A: tutti la vogliamo e non ho mai sentito un presidente dire di non puntare a qualcosa di meglio dello stato in cui si è. Ma dobbiamo essere abbastanza intelligenti da vivere bene una serie B che quando perdevamo in casa col Monteriggioni, pochi anni fa, vedevamo col binocolo.
Quando sarà ufficiale la scelta del nuovo Mister parleremo del prossimo anno.
E rifaremo l’abbonamento, perché… riproveremo, tutti, a fare del nostro meglio.
Forza fratelli Grifoni!
Federico Basigli