Un tuffo nella memoria del Grifo – Versavel si racconta. Dovevo giocare in serie A e mi ritrovai in B. Bigon un gentiluomo, Materazzi speciale
Scritto da Raffaele Garinella il 04/07/2021Ridere, ridere, ridere ancora. Ora la guerra paura non fa. Troppi anni sono passati da quella tormentata stagione vissuta a Perugia. Per Bruno Versavel, protagonista della nostra intervista, una Samarcanda degna di quella cantata dall’intramontabile Roberto Vecchioni. Tensioni lontanamente immaginabili al momento della firma.
A differenza di quel soldato che bruciò le divise nel fuoco al calar della sera, Versavel ripose con cura la maglia biancorossa griffata Galex e sponsorizzata Colussi nel cassetto dei ricordi.
Maglie bellissime, vorrei puntualizzarlo. La Galex realizzava davvero dei prodotti eccellenti.
Il ricordo di Perugia città, invece, è solo dolce. Forse perché il capoluogo umbro è stato attraversato nel corso dei secoli da tantissimi artisti. Tutti bravi ad infiltrarne l’animo per renderlo speciale. Artista lo è stato anche Versavel. Merito dei piedi fatati con cui ha pennellato giocate sontuose lungo la fascia sinistra e realizzato gol molto belli. Se esistesse un movimento artistico calcistico, una specie di Art Noveau pallonaro, ne farebbe certamente parte come uno dei massimi esponenti.
Perugia è bellissima. La ricordo sempre con immenso piacere. La trattativa fu condotta dal mio manager Andrea Pasqualin. Incontrammo Luciano Gaucci per la prima volta nella sua azienda di Roma. Tutto nacque e si concluse rapidamente. Il Perugia militava in serie A ed io ero sicuro che avrei giocato in massima serie. Purtroppo le cose cambiarono rapidamente perché la squadra non mantenne la categoria e retrocesse in serie B. Quasi simultaneamente io persi la finale di Coppa del Belgio con il mio Anderlecht contro il Germinal Ekeren. Oltre al danno anche la beffa.
Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli. Non sapremo mai se anche Luciano Gaucci – così come Vittorio Alfieri – si sia fatto legare ad una sedia da un domestico prima di pretendere gli acquisti di Bruno Versavel e Marc Emmers. Nella mente e nel cuore del grande presidente albergavano generosità e voglia di costruire un Grifo compatto e vincente. Doti di un nobile animo che ha sedotto, ma mai abbandonato, il nostro Bruno Versavel.
Luciano Gaucci è stato un grande uomo ed un grande presidente. Ne rimasi colpito positivamente sin da quando i nostri sguardi si incrociarono per la prima volta. Custodisco un bellissimo ed indelebile ricordo di lui, così come di suo figlio Alessandro, un’altra colonna portante del Grifo. La notizia della scomparsa del presidente Gaucci mi ha colpito ed addolorato.
Gaucci pur di tornare rapidamente in serie A non badò a spese e scelse la via della rivoluzione. Tanti gli interpreti nuovi e panchina affidata ad Attilio Perotti, esperto in promozioni in massima serie.
Versavel ed Emmers, almeno nelle intenzioni, avrebbero dovuto rappresentare la ciliegina sulla torta, i pilastri di quella rosa. Ai due calciatori fiamminghi, reduci da un quarto posto e da un eccellente cammino in Coppa Uefa con la maglia bianco malva dell’Anderlecht, il compito di guidare l’undici di Attilio Perotti verso il sentiero del successo.
L’esordio è dei migliori, alla prima di campionato davanti ad un Curi gremito, la Fidelis Andria viene annichilita con un poker sontuoso. Versavel ruba la scena grazie ad una prestazione eccellente suggellata da una rete su calcio di rigore. Il suo carisma è tale da valergli la fascia di capitano.
Luciano Gaucci cominciò a tessere le mie lodi. Il presidente diceva sempre: “Grande Bruno, grande capitano” e queste dichiarazioni in qualche modo suscitarono piccole gelosie in qualche elemento della rosa.
Si trattò di un fuoco di paglia perché alle prime difficoltà e dopo una serie di risultati altalenanti, la sconfitta casalinga contro il Padova (1-3 nda) costò la panchina a Perotti.
Quando fu esonerato Perotti, che considero un buon allenatore, la società scelse Albertino Bigon, un vero gentiluomo. Senza dubbio l’allenatore più importante durante la mia parentesi perugina. Soprattutto da un punto di vista umano. Comprese il difficile momento che stavo attraversando, le fisiologiche difficoltà di adattamento al calcio italiano e mi fu molto vicino. Pur di farmi sentire meno isolato, Bigon comunicava con me in francese. A quel tempo non parlavo molto bene l’inglese, né tantomeno conoscevo la lingua italiana. Fu il suo modo per farmi comprendere che c’era e che potevo contare su di lui.
Un gruppo di persone è pronta a raggiunge l’impossibile solo quando condivide un comune obiettivo. In quel momento lo spogliatoio era spaccato e poco orientato verso una visione collettiva o una prospettiva d’insieme. Bruno Versavel aveva legato con alcuni compagni di squadra. Tra questi anche Thomas Thorninger, attaccante danese autentica rivelazione del precampionato.
Il gruppo non era per niente unito. Era spaccato. Io frequentavo solo alcuni dei miei compagni di squadra. Thomas Thorninger è sempre stato un grande amico per me. Così come Marc Emmers. Avevo inoltre legato con Marco Materazzi, davvero un ragazzo speciale. Anche le nostre mogli andavano d’accordo e tra loro comunicavano in francese. Ricordo con piacere anche Milan Rapajc, un grandissimo calciatore, e Stefano Guidoni, un calciatore molto generoso.
Casomai nutrissimo dubbi sul fatto che non si possa realmente andare d’accordo con tutti, allora faremmo meglio a rispolverare le opere di Nietzsche. Il filosofo tedesco amava sottolineare le difficoltà connesse con l’utopica convinzione di poter legare con ogni uomo che ci circonda. Un cattivo gusto da cui sbarazzarsi quanto prima. Versavel – come succede a tutti – ha ammesso di aver vissuto piccole difficoltà relazionali con qualche ex compagno.
E’ vero, qualche difficoltà l’ho avuta. Con Sandro Tovalieri, per esempio, non ho legato. Nulla di particolarmente eclatante, a lui non piaceva il mio modo di giocare o di passargli il pallone. Non voleva neanche che indossassi la fascia di capitano a causa della mia poca dimestichezza con la lingua italiana. Punti di vista, naturalmente.
Versavel si sentì in qualche modo poco gradito alla squadra e decise di lasciare a malincuore Perugia.
Ne parlai con Emanno Pieroni e con Andrea Pasqualin. Ricordo il rammarico di Alessandro Gaucci. Mi chiese di rimanere, ma avevo preso la mia decisione. Era chiaro che ad alcuni miei compagni di squadra non piacesse il mio modo di giocare ed optai per un’altra destinazione. Volevo tornare a sentirmi importante all’interno di un gruppo. Così nel gennaio del 1998 fui ceduto al Lugano insieme a Marc Emmers. La trattativa fu agevolata dalla grande amicizia tra il presidente Gaucci e quello del Lugano. In Svizzera conquistai la promozione in massima serie e riscattai una prima parte di stagione non soddisfacente.
Dopo aver appeso le scarpette al chiodo ed essersi destreggiato con la boxe thailandese, Versavel è pronto a tornare al calcio. Magari in panchina dato che è in possesso del patentino Uefa A – che gli consentirebbe di allenare in Lega Pro e fare l’allenatore in seconda in Serie A o Serie B – o da un’altra parte.
Senza rimpianti come quando disse addio a Perugia. Un’esperienza da ricordare e custodire nel bagaglio dei ricordi. Così come si conservano alcune frasi ad effetto che si trovano nei baci di cioccolato. Dal sapore diverso da quello prodotto nel Canton Ticino, ma altrettanto gustoso. Gusti e campioni non si discutono, e Versavel campione lo è stato per davvero.
Raffaele Garinella – TifoGrifo.com
Foto: Social Network Bruno Versavel
il 04/07/2021.
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