Un tuffo nella memoria del Grifo. Oscar Cordòba, il portiere che sapeva volare, perché era in grado di sognare.
Scritto da Raffaele Garinella il 01/04/2018
28 novembre 2000- National Stadium -Tokyo
Tu sarai pure Iker Casillas, e voi il Real Madrid, ma io sono Oscar Cordòba, e oggi, insieme al Boca Juniors, salirò sul tetto del mondo.
Il Real Madrid, la squadra che di lì a poco sarebbe diventata dei “galacticos”, si presenta in Giappone come favorita. “Saranno anche bravi gli argentini, il loro pubblico saprà pur caricarli a dovere, ma qui non siamo a “La Bombonera”. Il tifo è dalla nostra parte, vinceremo noi”. I “blancos” sono convinti di sbrigare rapidamente la pratica Boca. Errore imperdonabile, perché Martìn Palermo, “El loco”, nell’arco di cinque minuti, mette a segno una doppietta che annichilisce el Madrid. Al resto pensa Oscar Cordòba, da Cali, Colombia. Il numero uno degli xeneizes, deve aver letto Benjamin Disraeli, un inglese abile tanto nella scrittura, quanto nella politica. Dagli scritti di Disraeli, Cordòba deve aver compreso come, nella vita, la prima cosa da fare, è saper cogliere un’occasione, e la seconda è comprendere quando è il caso di lasciare perdere. E questa è una partita dove non bisogna lasciar perdere nulla, l’occasione è irripetibile, e allora sotto con le parate decisive.
Cordòba è straordinario, vola con una naturalezza da far impallidire gli avversari.
Sarà forse per le ali, che tutti possiedono, ma che solo chi è in grado di sognare riesce ad usare.
E il sogno diviene realtà perché il Boca Juniors si laurea campione del mondo per club.
La vita è anche piena di bocconi amari, di momenti carichi di dolore.
Cordòba ha le spalle larghe, necessarie per superare momenti drammatici, giorni che vorresti cancellare per sempre dalla memoria, come quello in cui, sei anni prima, in un parcheggio del bar Padùa di Medellìn, Andres Escobar, difensore dell’Atletico Nacional e della Nazionale, viene colpito a morte da un sicario.
Un suo autogol contro gli Stati Uniti, aveva beffato proprio Oscar Cordòba, estromettendo la Colombia dalla competizione.
La morte del compagno è un duro colpo per i cafeteros.
Non mancheranno momenti bui per la Seleccìon de fùtbol, che, in una giornata d’estate del 2001, troverà la forza di reagire per tornare a riveder le stelle.
29 luglio 2001- Estadio El Campìn- Bogotà
I cafeteros sono in finale di Copa America contro il Messico.
La partita è un monologo, il Messico è rintanato nella propria area di rigore, a sbloccare l’incontro ci pensa un altro Cordòba, quell’Ivan che avrebbe contribuito alle fortune dell’Inter.
Il cammino è trionfale, Oscar Cordòba è l’unico portiere a non aver subito neanche un gol. mantenendo inviolata la porta per tutta la competizione. E’ la vittoria di tutti, della Seleccìon, della Colombia, ma soprattutto, è la vittoria di Andres Escobar, che dall’infinito del cielo, ha vegliato sui vecchi compagni, e su quelli che, avrebbero potuto essere i nuovi, se il destino non avesse deciso di essere così crudele.
Oscar Cordòba è pronto per misurarsi in un nuovo campionato. Arriva il Perugia, la serie A. Il presidente Luciano Gaucci si assicura colui che, dopo l’eterno Oliver Khan, è considerato il portiere più forte del mondo.
L’impatto con il campionato italiano è devastante, Cordòba non sbaglia una partita. Fino al termine della stagione, le giocherà tutte. In quindici presenze, riesce nell’impresa di diventare un idolo dei grifoni.
Con la tifoseria è amore vero, intenso, destinato però, a non durare a lungo.
Troppo elevata è la richiesta del Boca Juniors per il cartellino, Cordòba saluta e se ne va in Turchia, al Besiktas.
Nessuno mai ne avrebbe cancellato il ricordo dalla memoria dei tifosi perugini.
Le motivazioni, le aveva scritte Gabriel Garcìa Marquez, qualche tempo prima: “avevano vissuto insieme quanto bastava per accorgersi che l’amore era amore in qualsiasi tempo e in qualsiasi parte”.
Raffaele Garinella- Tifogrifo.com
il 01/04/2018.
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