Un tuffo nella memoria del Grifo- Mauro Milanese, il difensore che proteggeva le spalle a Ronaldo e Rapaic.
Scritto da Raffaele Garinella il 11/11/2018
Secondo un’antica tradizione l’alabarda,- o lancia di San Sergio-, sarebbe caduta sul foro di Trieste dal cielo. In araldica è simbolo di buona guardia e virtù guerriere. Tutte qualità che contraddistinguono, da sempre, Mauro Milanese, un guerriero in campo, sempre in difesa dei compagni, pronto a sfidare gli attaccanti avversari.
Trieste è città che dà ai propri figli un’anima in tormento ed è per tale motivo che è profondamente amata. La descrizione è di Scipio Slataper, scrittore e militare italiano.
L’ anima di Mauro Milanese non è tormentata, ed attraverso la sua razionalità, qualità che in campo lo ha portato a sbagliare il meno possibile, prova a spiegare le parole di Slapater: “Trieste ha rappresentato il fulcro della regione storico-geografica della Venezia Giulia, funge da ponte tra Europa Occidentale e Centro-Meridionale, mescolando caratteri mediterranei, mitteleuropei e slavi. Il suo porto può essere considerato tra i più importanti per flusso di merci. E’ stata una città cosmopolita. E’ una perla, a misura d’uomo, sul mare. La potrei definire una piccola Vienna, con mille contraddizioni. Un posto unico.”
Mahatma Gandhi avrebbe definito Milanese un uomo in grado di far trasparire forza, grinta e determinazione. Doti che unite a misura e gentilezza lo rendono uno straordinario gentiluomo. Potremmo paragonarlo al suo antico maestro, Gigi Simoni, che lui stesso definisce “un uomo meraviglioso, una persona di altri tempi, all’antica. Un padre di famiglia custode di profondi valori umani”.
Nella sua lunga, intensa ed importante carriera, ha girato tante piazze, tutte importanti, da Trieste a Cremona, da Torino a Napoli, da Parma a Milano, fino a Perugia. All’estero ha militato in Premier League.
In principio c’erano Ronaldo, Djorkaeff e Zamorano. Dove sarebbero andati senza la fase difensiva di Bergomi, Colonnese, Galante e Milanese? Probabilmente non troppo lontano, azzardiamo noi. Nel calcio come nella scherma, servono sia i colpi agili e leggeri del fioretto, sia la forza e la potenza di quelli inferti dalla sciabola. Senza una adeguata fase difensiva, senza gregari importanti, i protagonisti sono destinati a tramutarsi in comparse.
Era l’Inter di Gigi Simoni, forse non così lontana da quella di Mourinho, unica a conquistare il Triplete. I nerazzurri vinsero la Coppa Uefa (1997/98 nda) annichilendo una superba Lazio per 3-0 in una indimenticabile notte parigina. Senza alcune sviste arbitrali, i nerazzurri avrebbero potuto conquistare lo scudetto. “Mi sento orgoglioso di aver fatto parte di quella Inter. C’erano tantissimi talenti come Zamorano, Djorkaeff, Recoba, Moriero, Simeone, Roby Baggio e calciatori che poi sarebbero diventati campioni del mondo come Pirlo e Ronaldo. Io arrivavo da Parma, ed anche in Emilia avevo giocato con campioni indiscussi come Buffon, Thuram, Cannavaro, Chiesa e Crespo. Ho vissuto molti anni a Milano, e posso affermare che delle recenti Inter, il tifoso nerazzurro ricorda tre formazioni: quella di Trapattoni e dei record (1988/89 nda), quella di Mourinho e del Triplete (2009/10 nda) e la nostra (1997/98 nda). La gente si rispecchiava in quella squadra, in cui c’era Ronaldo, il Fenomeno. Con il suo arrivo furono sottoscritti 60.000 abbonamenti, lanciò alcune mode, come quella dei capelli rasati o delle scarpette color argento. Era semplicemente straordinario, quando ti puntava era come uno squalo con la preda. Eri praticamente spacciato, nel dribbling e sulla velocità era inarrestabile. Non ho affrontato nessuno forte come Ronaldo nell’uno contro uno. Quella squadra aveva in rosa anche tanti italiani, tutti attaccati alla maglia. Portavamo grinta, cattiveria e forza. Ronaldo, Zamorano, Djorkaeff e Recoba aggiungevano qualità. Un giusto connubio”.
Dici Perugia e la mente torna indietro nel tempo, ad un dolce ed indimenticabile passato.
“Non potrebbe essere diversamente,- continua Milanese- sono stati cinque anni meravigliosi. Provo tanto affetto nei confronti di Perugia e del Perugia. C’è una grande curva che ti sostiene sempre, la tifoseria è straordinaria. Ho vissuto bellissime stagioni sotto la presidenza Gaucci. Tra le altre cose posso dichiarare di aver evitato la stagione della retrocessione,- puntualizza sorridendo-, anche se poi ad Ancona non è andata meglio. Ogni domenica allo stadio si viveva una festa, c’era tanta gente pronta a sostenere la squadra. Sono grato alla famiglia Gaucci perché mi ha trasmesso qualcosa che poi ho fatto mio nella nuova vita da dirigente, adattandolo al mio modo di intendere il calcio, che come per i Gaucci, è a trecentosessanta gradi. Amo vivere pienamente la società, seguo tutto, dalla prima squadra alle giovanili, fino allo staff medico. Sento ancora Alessandro per lavoro”.
Perugia tanto cara a Mauro Milanese, forse perché, per certi aspetti, ricorda la sua Trieste. In entrambe è possibile cogliere un mondo intero, un continente.
“Perugia è una città da serie A, ho ancora tanti amici in Umbria. La mia carriera è sempre stata in salita, e, per stimoli ero portato a cambiare squadra stagione dopo stagione. Mi aiutava a crescere, a migliorarmi, a superare i miei limiti. A Perugia sono rimasto a lungo, ed ho rifiutato importanti proposte sia dall’Italia che dall’estero, soprattutto dall’Inghilterra. Avevamo sempre grandi squadre ben costruite dai Gaucci. Ci stimolavano attraverso una giusta pressione e spiccata competenza. E poi c’erano persone importanti per lo spogliatoio come Sabatino Durante. Sabatino ci dava molti consigli, pensava al bene dei calciatori. Riusciva a capire i momenti psicologici e faceva da trait d’union con la società. E’ stato molto utile per la nostra crescita, e molti di noi, dopo aver appeso le scarpette al chiodo, hanno continuato a fare bene nel calcio. C’è chi allena, come Grosso, Liverani, Bucchi e Tedesco, chi ha intrapreso la carriera dirigenziale, come me, Sean Sogliano, Gianluca Petrachi o lo stesso Goretti”.
Grandi squadre, ma anche grandi partite, due ingredienti necessari per disputare stagioni memorabili, per alcuni aspetti, irripetibili.
“Se penso al Perugia di Mazzone mi vengono in mente calciatori come Rapaic, Ba, Nakata e Amoruso. Della gestione Cosmi non posso non ricordare Ze-Maria, Grosso, Liverani, Vryzas e Miccoli. Era il calcio delle sette sorelle in cui noi compensavamo le carenze tecniche grazie a grinta e determinazione. Ricordo vittorie straordinarie come contro la Juventus, che a Perugia perse uno scudetto, o contro Milan ed Inter per 3-1 e 4-1. Ma anche grandi prestazioni contro Roma, Lazio e Parma. Eravamo un grande gruppo. I calciatori più maturi aiutavano i più giovani ad inserirsi al meglio. Come capitato nell’Inter con Bergomi, Colonnese, Galante e Sartor, anche a Perugia avevamo una difesa solida che supportava il talento dei vari Rapaic, Nakata e Miccoli. Loro facevano la differenza in avanti, noi davamo tutto in difesa, incarnavamo l’italianità”.
Un allenatore importante per Milanese è stato senza dubbio Serse Cosmi. Giunto a Perugia tra lo scetticismo generale, ben presto portò in tanti a ricredersi.
“Cosmi è stato molto importante, ha mutato il 4-4-2 di partenza in un 3-5-2 più adatto alle nostre caratteristiche. Grosso non era ancora pronto per giocare come terzino in una difesa a quattro. Aveva sempre giocato da trequartista, e Cosmi ebbe l’intuizione di schierarlo esterno di centrocampo. Con questo modulo ne beneficiammo tutti, da Liverani che faceva meno fatica e poteva liberare tutto il suo talento, a Di Loreto che dirigeva la difesa aiutato da me e Sogliano.”
Il calcio inglese è sicuramente il preferito dal guerriero Mauro Milanese. Un calcio “maschio”, dalle partite molto più veloci, con giocate sempre in verticale e continui scatti dei calciatori: “In Inghilterra ci sono andato, diciamo da vecchietto. Era un calcio adatto alle mie caratteristiche, senza fighette che cercavano la simulazione. Atmosfere straordinarie, stadi bellissimi, eppure quando giocavo a Perugia stavo talmente bene che rifiutai proposte importanti d’oltremanica”.
Il presente si chiama Triestina, l’obiettivo è quello di una crescita graduale e costante:
“Abbiamo programmato la conquista della serie B in tre anni. Riuscirci quest’anno, nella stagione del centenario, sarebbe meraviglioso, ma con il girone non siamo stati molto fortunati. Ci sono squadre come il Monza di Berlusconi, che vuole conquistare la serie A in due stagioni, la Feralpi Salò dei vari Caracciolo, Pesce e Ferretti, il Pordenone, che due stagioni fa ha perso la finale contro il Parma ma che è sempre in lotta per le prime posizioni, il Lanerossi Vicenza di Renzo Rosso. Sono tutte società ben costruite e molto solide da un punto di vista economico. E poi c’è la Ternana, squadra che ha una rosa composta da molti calciatori adatti alla serie B. Verso i rossoverdi nutro un’antipatia che resta confinata nei termini della sportività. D’altronde ho indossato la maglia del Perugia, con il Grifo sul petto, ho vinto derby come quello del 4-0 o del 2-0 in casa loro. Non potrebbe essere diversamente. Vorrei sottolineare che in quella stagione (2004/05 nda), contro la Ternana totalizzammo sei punti e, di fatto, conquistammo la serie A sul rettangolo di gioco. In campo c’erano undici calciatori che avevano già conosciuto la serie A, come Kalac, Coly, Di Loreto, Baiocco, Ravanelli ed il sottoscritto, ed altri che in A ci sarebbero arrivati, come Do Prado, Delvecchio, Ferreira Pinto e Mascara. Vincemmo il campionato nell’anno del centenario non riuscendo ad iscriverci al torneo successivo per altre problematiche”.
A Mauro Milanese non possiamo fare altro che augurare ogni bene, così come alla sua Triestina. Lui è un combattente, un guerriero. Nella sua carriera ha vinto tantissime battaglie, e tante altre ne vincerà, ne siamo certi.
Non darà mai ascolto ai sussurri del vento, a quelli della Bora, tanto cara a Trieste, che potrebbe spifferargli all’orecchio di come un guerriero sia poco adatto ad affrontare una tempesta. Milanese replicherebbe sorridendo,-e su questo ci mettiamo le mani sul fuoco-, con altrettanta sicurezza che è un guerriero, ed è lui la tempesta.
La Bora cambierebbe strada, proprio come facevano gli avversari. Meglio non sfidare il guerriero che indossava la maglia con il numero 3, quello che simboleggia la perfezione.
Raffaele Garinella-Tifogrifo.com
il 11/11/2018.
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