Un tuffo nella memoria del Grifo. Lo chiamavano “El Rifle”, la mitraglia. Oggi Pandolfi suona la chitarra, e continuerà a farlo fino a quando non smetterà di divertirsi.
Scritto da Raffaele Garinella il 15/04/2018Buenos Aires- Parque Tres de Febrero, oggi.
Un padre, un figlio, il loro pallone…
Non devi mai calciare così forte, Ariel, hai visto dove è finito il pallone?
Per poco non colpivi quel signore.
Vai e porgi le tue scuse.
“Disculpeme senor”
L’uomo in questione, sulla quarantina, capelli neri, barba incolta, occhiali da sole che forse hanno il compito di celare uno sguardo malinconico, se ne sta seduto sul prato, in compagnia della sua chitarra. Gli accordi sono quelli di “Foxy Lady”, impossibile non pensare al grande Jimi Hendrix.
“No hay problema, nino”
Posa dolcemente la chitarra sul prato, verde, proprio come quelli che in un’altra vita, neanche troppo lontana, calcava con classe e fantasia, e recupera il pallone.
Una ventina di palleggi, destro, sinistro, testa, stop di petto, e pallone al ragazzino.
Hai visto quant’è bravo quel signore?
Sei troppo piccolo, Ariel, ma quel signore, un tempo è stato un grande calciatore.
Si chiama Fernando Daniel Pandolfi, ma tutti lo chiamano “El Rifle”, la mitraglia.
Secondo il filosofo svizzero Henri Frederic Amiel, la volontà può essere stimolata soltanto da un movente, che può essere un dovere o un amore, a seconda che risieda nella coscienza o nel cuore.
Fernando Daniel Pandolfi si rende conto che correre dietro ad un pallone gli piace sempre meno, che gli stimoli e la gioia di allenarsi con i compagni non esistono più, tanto vale chiudere il capitolo calcio e appendere gli scarpini al chiodo.
Belle pagine sono state scritte, numerosi trofei sono stati vinti.
Tre campionati argentini, due Coppe Libertadores, due Coppe Intercontinentali, una Coppa Interamericana, una Supercoppa Sudamericana, una Recopa Sudamericana.
È bravo “ El Rifle”, la mitraglia, così lo chiamano in Argentina, per via di un soprannome datogli dal padre.
Qualcuno addirittura lo paragona a Totti. Pensare che il destino avrebbe potuto farli incontrare.
Nel 1996 proprio a Roma, città eterna, che vanta numerose opere artistiche, comprese le giocate del “ pupone”, è Carlos Bianchi a farne il nome alla dirigenza. Lo vorrebbe per sostituire proprio Totti, da spedire alla Sampdoria, ma Sensi non si lascia persuadere.
L’appuntamento con l’Italia è solo rimandato di un anno.
Gaucci lo porta al Perugia, con l’obiettivo di centrare la serie A.
“El Rifle” decide di stabilirsi in una piccola villa in periferia, luogo riservato, un angolo di città in cui si sente a proprio agio.
La stagione dell’amore…
Pandolfi comincia come d’incanto, ad esaltare il pubblico del Curi.
Giocate pregevoli, due reti importanti.
La stagione dell’amore viene e va, all’improvviso senza accorgerti, la vivrai, ti sorprenderà.
Le parole, quelle di Battiato, le sensazioni, quelle di Pandolfi.
Perugia-Napoli, Coppa Italia.
Fa ancora caldo, siamo a settembre, l’estate, saggia e giusta, ha compreso che il suo tempo volge al termine, a breve dovrà farsi da parte per lasciare spazio al giovane autunno, ma c’è ancora un po’ di tempo, c’è ancora una notte. E’la stagione dell’amore tra il Grifo e Pandolfi.
Minuto ‘28, il Napoli è avanti di una rete, ma Pandolfi è carico, determinato, sente che il suo momento è arrivato. Dalla destra parte un cross di Cucciari apparentemente innocuo.
Taglialatela e Sergio si scontrano involontariamente, annullandosi a vicenda.
La palla rotola verso Pandolfi.
“El Rifle” è lesto e la butta dentro. Pari e patta.
Ma non è finita, il bello deve ancora venire.
Thorninger fugge via sulla sinistra e crossa al centro dell’area di rigore. Versavel stoppa il pallone e lo appoggia dolcemente per Pandolfi.
La girata è rapida, il tiro di sinistro si infila nell’angolo basso, e per Taglialatela è un altro pallone da raccogliere in fondo al sacco.
Il Perugia vince 3-2, Pandolfi sembra avviato a scrivere pagine gloriose della sua storia in biancorosso. Non sarà così.
La realtà è diversa, di Pandolfi al Perugia rimarrà solo il ricordo di quella notte. “ El Rifle”, la mitraglia si inceppa, le prestazioni risultano sempre meno convincenti.
A Natale dello stesso anno se ne torna in Argentina, dopo nove presenze e due le reti.
L’esperienza è comunque importante, formativa, serve a comprendere meglio alcune cose, a dare priorità ad altre. Il calcio, forse, può considerarsi parte del passato, ma la stagione dell’amore quella no, tornerà, con le paure e le scommesse.
La musica, il rock…
Non c’è più alcuna squadra, ma una band “Actitud sospechosa”, messa su con alcuni amici.
Un disco, tanto divertimento, poi ognuno per la propria strada, fino alla fondazione di un altro gruppo, i “ Mil Hormigas”, quindi il cinema, nel 2011, con un ruolo nel film “La despedida”.
La vita va vissuta senza alcun rimpianto, come ha fatto Pandolfi.
E’ proprio vero, lo dice anche Battiato, “ne abbiamo avute di occasioni, perdendole, ma tu non rimpiangerle mai, perché un altro entusiasmo ti farà pulsare il cuore”.
Dopo il calcio, la musica.
Buenos Aires- Parque Tres de Febrero, oggi.
L’uomo sulla quarantina, capelli neri, barba incolta, occhiali da sole che forse hanno il compito di celare uno sguardo malinconico, dopo aver restituito il pallone al bambino, si riaccomoda sul prato, verde, come quelli che, in un’altra vita, neanche troppo lontana, calcava con classe e fantasia, e si accende una sigaretta.
Aspira, poi soffia il fumo in lontananza e riprende la chitarra.
Gli accordi sono quelli di “Foxy Lady”, impossibile non pensare a Jimi Hendrix.
Mi chiamo Fernando Pandolfi, in un’altra vita, neanche troppo lontana, sono stato “ El Rifle, la mitraglia. Ho appeso gli scarpini al chiodo, oggi suono la chitarra.
La musica è la mia nuova stagione dell’amore, e, questa volta, non so quanto durerà.
Di una cosa sono certo, fino a quando mi divertirò, non smetterò di suonare.
Raffaele Garinella-TifoGrifo.com
il 15/04/2018.
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