Sport e solidarietà. A Perugia presentazione del libro di Jack Sintini “Forza e Coraggio”
Scritto da Redazione il 18/05/2014(ASI) PERUGIA – Se fossimo stati a Trento alcuni se ne sarebbero già andati scocciati per il ritardo accumulato, ma si sa, quando a Perugia piove il traffico si crea, e quindi gli oltre 400 presenti all’Auditorium del Capitini possono aspettare. Mancano persone importanti e Jack non vuole iniziare senza di loro: all’appello mancano i genitori – e poi si dirà che è tutta colpa del papà di Jack -, ma soprattutto manca Carolina, sua figlia, l’amo cui aggrapparsi quando il mare è troppo profondo anche solo per immaginarsi il fondo.
Poi eccoli, si siedono, Carolina inizia a giocare e l’arbitro fischia l’inizio della partita di presentazione del libro di “Forza e Coraggio – Come ho sconfitto il cancro e sono tornato a vincere”, autore Giacomo Jack Sintini. Ad introdurre il libro, dopo i saluti del Sindaco di Perugia Wladimiro Boccali, è il telecronista di Raisport Alessandro Antinelli, nel ruolo di Anfitrione, e sarà lui a fare il regista in questa serata e dopo il ciak parte un video della carriera di Sintini: una storia in due tempi, quello prima e quello del cancro.
Come la prima lettera dell’alfabeto. A, come Alessia, sua moglie. A, come l’amore della vita, alla quale va il primo grazie del libro perché dal giorno del loro primo incontro l’8 marzo 2005 “La mia vita è cambiata” – parole di un uomo innamorato. Sono momenti felici quelli che Jack, dopo aver appeso al chiodo le scarpette da single “convinto” – dice lui -, arriva la prima finale scudetto con l’RPA Luigi Bacchi Perugia, la vittoria dell’Europeo con la nazionale, la chiamata di Macerata e il primo scudetto: “Avevo raggiunto il livello che sognavo da bambino, dopo tanta fatica e sudore mi sentivo un campione”. La vita di Jack continua su questa scia felice: il matrimonio, la nascita di Carolina, i contratti che non faticano ad arrivare, prove di ambientamento in Russia, e poi Forlì, ultima tappa della prima parte della sua vita. “Mi chiamò Bovolonta – racconta -, volevano provare a salvarsi ma non ci riuscimmo, comunque per l’anno successivo avevo già firmato con la squadra polacca dove l’allenatore era Lorenzo Bernardi, stavo bene, ma una mattina, d’improvviso, non era più così”.
Il dolore mi ha salvato la vita. Quando sei un atleta sei abituato a sentire il tuo corpo e riconosci ogni segnale e un mal di schiena lo puoi inizialmente associare ad un dolore muscolare; “Trascinai quel dolore fino alla fine della stagione – racconta Sintini -, ma poi anche i movimenti più banali mi procuravamo un dolore insopportabile. Finchè due episodi: una mattina nuotando urtai il bordo della vasca e il dolore che sentì mi costrinse ad andare a fondo, in lacrime, come se mi avessero sparato, poi – continua -, uno starnuto e il medesimo dolore mi convinsero a fare degli esami per accertamenti”. Era il primo giugno 2011, Jack ha 32 anni, Alessia 28 e la figlia Carolina 3. La diagnosi è piuttosto chiara: “Cancro, e quella parola ti fa crollare il mondo”. Prima di iniziare le chemio, Jack deve prendere degli antidolorifici: “Ma non ne voglio, voglio sentire il dolore che mi procurava la massa tumorale che lentamente aveva sbriciolato una costola e iniziava a compromettere anche gli altri organi”. La notte poi arriva la bestia nera che si chiama paura, quella che ti fa credere che è tutto finito, ma poi Carolina lancia il primo amo e Jack iniziare le cure, è il 23 giugno 2011. “Sono aggressive – ricorda il giocatore – il tumore era al quarto stadio -, al primo ciclo di chemio cadono i capelli e lì capisco che sto davvero male, lo ammetto e decido che è il momento di farmi aiutare”. Non basta, il tumore non risponde e allora si va avanti: “Chemio di seconda linea, più pesanti e sto ricoverato, perdo 21 chili, e inizio a sentirmi solo”. Gli spettri tornano e Jack è lucido nel pensare di poterla fare finita, pensa che potrebbe mollare, ma Carolina è ancora lì e lancia il secondo amo per suo papà: “Mi dicevo, cosa penserebbe se sapesse che ho mollato?!”. Dicembre 2011, autotrapianto di midollo, “Hai le allucinazioni, la solitudine ti pervade, senti che nessuno può consolarti e allora inizi a guardare più in alto”. Ed è lì che Jack incontra la fede, che è nella famiglia ed è nel pensiero positivo che, anche se dovesse andar male, qualcuno si sarebbe occupato di sua figlia. “L’atteggiamento è fondamentale quando affronti una malattia, devi capire che si affronta insieme”.
La seconda occasione. Sintini sa di averla avuta, e non vuole sprecarla, il senso del libro che ha scritto e del lavoro della sua Associazione è proprio questo: parlare e condividere, per dare speranza. Jack non è un super eroe, “Non è nessuno”, come griderà alla fine della finale scudetto vinta con Trento, quindi se ce l’ha fatta lui può farcela chiunque. “Dopo il trapianto – racconta -, ogni giorno era una piccola conquista; in primavera mi sento meglio e decido di riprendere ad allenarmi per tornare me stesso. Con l’aiuto dello staff tecnico della Sir Safety Perugia mi rimetto in sesto, e l’8 maggio 2012 ottengo l’idoneità sportiva”. E’ il ritorno. Un comunicato stampa lascia intendere che Jack è sul mercato, le telefonate sono piene di congratulazioni ma non di offerte. Poi, prima di farsi una doccia, il telefono squilla in casa Sintini, sul display appare scritto “Trento”. E’ impossibile, la squadra più forte del mondo lo cerca, e il presidente Mosna gli offre un contratto biennale: “Che non è elemosina – dice Jack -, è un’offerta vera”. Allenamenti forsennati in estate e il peso riprende a crescere, a settembre gioca qualche punto per la Supercoppa Italiana, e vince, il primo successo di una stagione eccezionale.
A Hollywood non sono così bravi. Le sceneggiature vanno sapute scrivere, e anche se sei dotato di una buona scrittura, ci vogliono le idee per girare un bel film. Può succedere che sei a corto di colpi di scena, o pensi che possa bastare, ma il destino è più veloce di te e di notte di scarabocchia sul foglio il finale perfetto. Gara 4 finale scudetto 2012-2013, Trento va a Piacenza convita di alzare la coppa al Pala Banca. Perdono, in malo modo, ma sopratutto Raphael uno dei migliori palleggiatori del mondo, si rompe un dito: un certo Simon ha schiacciato contro la sua mano, verdetto inevitabile. La finale, gara 5, la deve giocare Jack.
A Piacenza non sono tranquilli, sanno che l’assenza di Raphael è un vantaggio, ma non sono sicuri di vincere. Trento nel frattempo si trasforma: da composta città del nord diventa qualcos’altro. “La gente mi fermava al semaforo e mi diceva ‘Dai Jack siamo tutti con te – racconta il giocatore -, siamo tutti nelle tue mani”. “La pressione te la fanno salire – dice -, ma io non avevo paura, le partite di pallavolo non me ne fanno più, volevo solo fare il possibile perché accadesse qualcosa di bello da dedicare a quanti in quella settimana mi avevano scritto chiedendomi di giocare per qualcuno che c’era ancora o non c’era più”.
12 maggio 2012. Trento vince la finale scudetto (3-2), Jack è il migliore in campo, i giornalisti – che assegnato il titolo di MVP -, non hanno neanche pensato a chi doveva andare, lo sapevano. Jack alza la coppa mentre una mano gli cuce lo scudetto sul petto; scorrono i titoli di coda, sono quello che Jack ha imparato dalla sua esperienza, messaggi forti per chi deve lottare, e dicono più o meno così: “Noi siamo molto più forti di quello che crediamo, e lo diventiamo ancora di più quando combattiamo per qualcosa e qualcuno che amiamo. Ho imparato – conclude Jack -, che anche dall’esperienza più brutta, può nascere qualcosa di unico”.
Chiara Scardazza – Agenzia Stampa Italia