Parma-Perugia 1-1. Un punto buono, ma anche qualche recriminazione per i grifoni.
Scritto da Daniele Orlandi il 11/02/2018
Un punto buono, un risultato giusto nella sostanza, eppure il Perugia può anche recriminare sul pari riportarti dal Tardini di Parma. Perché, se nel primo tempo e, nel secondo, fino al gol di Cerri, il Parma ha tenuto il pallino del gioco e i grifoni non si sono quasi mai affacciati in avanti; dopo l’1-0 la squadra di Breda ha mancato il colpo del ko. Poi, il Parma ha schierato in campo quattro attaccanti e, nel concitato finale, in area perugina il traffico si è fatto intenso come all’ora di ingresso delle scuole. Ci è scappato il rigore e, forse, un difensore esperto non sarebbe intervenuto su Da Cruz con l’irruenza giovanile usata da Germoni, entrato da poco al posto di Bandinelli. La partita è stata nel complesso bruttina, combattuta agonisticamente, ricca di falli anche duri e di ammoniti. Insomma, si è più giocato a calci che a calcio. Il Perugia, solido sulla linea di difesa, ancorché improvvisata con Magnani (buon esordio) a fianco di Del Prete e Volta, è mancato nelle ripartenze, quasi mai azzeccate per errori tecnici del centrocampo sotto la regia di Bianco, con Bandinelli e Gustafso che hanno corso tanto ma con poco costrutto. Mustacchio e Pajac per tutto il primo tempo vengono schiacciati dietro e il Perugia è costretto a guardare giocare i padroni di casa. Di Carmine e Cerri vedono poco o punto il pallone. Meglio la ripresa, quando il Perugia alza il baricentro di una quindicina di metri. Tanto basta per trovare il gol su affondo da destra di Mustacchio e incornata di Cerri che, da ex, non se la sente di esultare sotto la curva del Parma. Gli uomini di D’Aversa sbandano e il Perugia potrebbe approfittarne. Buonaiuto ha sulla testa il colpo del 2-0, ma il palo dice no. Poi il finale, il rigore e qualche sofferenza di troppo per un punto dolce/amaro che dimostra che il Perugia evidentemente si trova a proprio agio quando c’è da soffrire e combattere. Un punto utile in chiave salvezza, anche perché alle porte ci sono Frosinone e Palermo.
Daniele Orlandi – Agenzia Stampa Italia