Luca Bucci vuota il sacco: tutta la verità sulla retrocessione con Scala
Scritto da Raffaele Garinella il 19/01/2022L’ex portiere del Grifo si toglie sassi e macigni su una stagione misteriosa. Pieroni mi chiese le scuse per quella storia della presunta sigaretta
Sembra proprio che Luca Bucci stesse aspettando una telefonata da Perugia, tanta era la voglia dopo tanti lustri di alleggerire un fardello troppo pesante da sopportare. È venuta l’ora di togliersi qualche sassolino dalle scarpe.
“Nei confronti di Perugia non provo alcun sentimento negativo, tutt’altro. La città la ricordo con enorme piacere, è bella ed affascinante per come è strutturata” .
Il timbro di voce è così profondo che appare subito convincente. Cerchiamo di coglierne l’animo e vengono fuori determinazione, decisione e lealtà. Qualità dell’atleta di allora, che ci colpiscono oggi, a distanza di anni dalla sua ultima partita con la maglia del Grifo. Ha intuito che può votare il sacco, che non ci sono agguati in atto.
“Al Perugia ho dato tutto, checchè ne dica qualcuno. Ero professionista ieri, lo sono oggi. Gaucci e Pieroni mi rimproveravano di poco impegno, o peggio ancora, alludevano a cose assurde, distanti anni luce dal mio modo di comportarmi”.
Facciamo un passo indietro. Come nacque il tuo trasferimento a Perugia?
“Mi contattarono Scala e Di Palma, all’epoca preparatore dei portieri nello staff del mister. Con Scala ho sempre avuto un ottimo rapporto, grande allenatore e grande persona. Mi chiese di aiutarlo in quell’avventura, ed accettai. Durante la mia permanenza a Perugia, ebbi discussioni piuttosto accese sia con il presidente che con il direttore sportivo. Non condividevo i loro metodi e glielo dicevo apertamente. Cercavano di mettermi in difficoltà con la piazza e con i tifosi, parlando male di me. Come ho sempre fatto in ogni squadra in cui ho giocato, ho cercato di dare sempre il massimo. A Perugia ho giocato tante partite pur alle prese con guai fisici. Forse sarebbe stato meglio fermarsi per recuperare, ma avevo dato la mia parola d’onore a Scala e ho fatto di tutto per scendere in campo”.
Cosa accadde dopo Perugia-Roma? Chi era allo stadio ricorda che eri molto arrabbiato.
“La rabbia nacque dal fatto che intervenni su una palla alta, spiovente, senza rendermi conto di essere con le mani fuori dall’area di rigore. Fu un errore di valutazione. Con le regole di oggi avrei beccato un giallo. Peccato perché saltai la partita decisiva di Piacenza”.
Sinceramente, hai mai percepito che qualche tuo compagno stesse remando contro Scala per riportare Giovanni Galeone in panchina?
“Onestamente no. C’erano calciatori legati a Galeone, ma era anche giusto. Con lui avevano vinto un campionato di serie B durante l’anno precedente ed avevano fatto bene per un certo periodo in serie A. Qualcun altro aveva condiviso altre esperienze professionali col mister, era normale che fossero in sintonia”.
Ti riferisci a Dicara e Pagano a Pescara?
“Anche ad Allegri, poi ceduto al Padova. Quando hai un legame con un allenatore, magari anche inconsciamente non riesci ad esprimerti al massimo con un altro che ne prende il posto”.
Cosa non funzionò con Scala?
“Ci fu una rivoluzione tattica. Scala portò il suo modo di giocare ed una differente metodologia di allenamento, oltre ad alcuni comportamenti diversi”.
In che senso?
“Da quello che raccontavano, Galeone era molto meno scrupoloso nella parte atletica, e poi era estroverso. Scala era un pò più rigido, controllava anche certi aspetti della vita in generale, o semplicemente il peso dei calciatori. A posteriori, non credo ad alcun disegno contro Scala perché un calciatore non scende mai in campo per perdere”
Si può dire che Scala fu un incompreso?
“Ogni squadra ha degli equilibri. Se la società va contro i calciatori, perché vuole portarli in ritiro quando non ha senso o li attacca ripetutamente, e l’allenatore si schiera dalla parte della squadra, i calciatori daranno tutto per quell’allenatore. Si crea un bel feeling ed è ciò che accadde con Galeone. Scala cercò di far riavvicinare le parti in contrasto, ovvero società e squadra. La costante della società era quella di bastonare la squadra dopo ogni sconfitta, trattare i calciatori come scolari indisciplinati. Tutti in ritiro, lontani dalle proprie famiglie. Probabilmente Scala fu percepito dalla parte della società, ma non era così. Il mister voleva solo un ambiente sereno in cui tutte le componenti, dalla società fino allo staff tecnico e alla squadra, lavorassero in simbiosi ed uniti per conseguire il medesimo obiettivo. Credo sia questa la filosofia vincente e Scala lo ha dimostrato prima e dopo Perugia”.
Con chi legasti di più a Perugia?
“Sicuramente con Alberto Di Chiara. Le nostre famiglie si frequentavano sin dai tempi di Parma. Buoni rapporti anche con Rino Gattuso, ma in generale non ho avuto contrasti con nessun compagno di squadra. Alcuni, come per esempio Max Allegri, li incontro ancora oggi da avversario”.
A proposito di Allegri, ricordi che al suo posto acquistarono Petter Rudi? Un acquisto fallimentare, come quello di Muller.
“Hanno avuto difficoltà ad adattarsi ad un calcio molto tattico come il nostro. Difficile esprimersi al meglio in così pochi mesi e in un contesto pieno di difficoltà, dove il risultato diventa più importante della prestazione. Una filosofia che i nordici, come Rudi, non concepiscono. I brasiliani hanno bisogno di divertirsi, di sentirsi coinvolti a livello emotivo. Non si espressero al massimo perché non goderono delle migliori condizioni per farlo”.
E come andò la storia della presunta sigaretta spenta sul volto di Pieroni?
“Non ho mai spento alcuna sigaretta in faccia a Pieroni, come poi di fatto è emerso dai vari procedimenti, compreso quello penale. Con Pieroni avevamo un modo di intendere e di vivere il calcio completamente differente. Abbiamo avuto parecchie discussioni. Anche in quell’occasione ci fu un acceso diverbio ma non andò come disse lui. Custodisco una lettera di scuse che lo stesso Pieroni mi ha scritto di suo pugno. Cercò anche un nuovo contatto invitandomi a cena, ma non me la sono mai sentita di incontrarlo nuovamente, pur non serbando alcun rancore. Mi spiace sia venuto a mancare e che la sua famiglia abbia perduto una persona cara”.
Quale fu la goccia che fece definitivamente traboccare il vaso nei rapporti con il Perugia?
“I rapporti non sono mai stati buoni, ma se devo scegliere un momento preciso, allora ripenso alla fine della stagione 1996/97. La dirigenza dei Glasgow Rangers, che già aveva acquistato Gattuso e di lì a poco avrebbe prelevato anche Marco Negri, decise di ingaggiarmi. Era praticamente tutto fatto, solo che Pieroni ed uno dei figli di Gaucci, non ricordo quale, parlarono male di me alla dirigenza dei Rangers. Fu una ripicca che fece saltare il mio trasferimento in Scozia”.
Alla fine sei andato al Torino e contro il Perugia hai perso uno spareggio ai rigori. Che partita ricordi?
“Ci furono delle cose molto strane. Perdemmo Tricarico, espulso dopo pochi minuti. Qualche settimana prima a Perugia, in uno degli ultimi turni di campionato, che di fatto era un altro spareggio e che perdemmo 2-1, Materazzi entrò in modo violento su Lentini e fu solo ammonito. Si era ancora sullo 0-0. Magari avremmo perso ugualmente, il calcio è fatto così, ma l’arbitro ebbe un occhio di riguardo per Materazzi, o forse subì un pò la pressione di un ambiente che si era surriscaldato sin dal nostro arrivo in città”.
In definitiva, mi stai dicendo che verso Perugia non nutri né rancore, né rabbia. Giusto?
“Assolutamente sì. Comprendo anche che in quel momento i tifosi avessero bisogno di un capro espiatorio, così come la società. Quando sono tornato a Perugia da avversario, sono sempre stato oggetto di scherno ed insulti da parte della tifoseria, ma fa parte del gioco”.
Hai mai sbagliato qualcosa?
“Si, dopo lo spareggio quando perdemmo ai rigori. Ebbi una brutta reazione a caldo contro i tifosi del Perugia e questo non va bene. Chiunque quando viene insultato se la prende, fatica a non reagire, ma io commisi un errore. Ero un personaggio pubblico, avrei dovuto mantenere un self control che, purtroppo, non riuscì a mantenere. Avrei dovuto contenere le emozioni”.
Anche se è passato tanto tempo, questi sentimenti fanno onore a chi li manifesta. Luca Bucci, anche questa volta non si è nascosto, ha accettato l’intervista, mettendo diversi puntini sulle “i”. Ciò che conta nel calcio, così come nella vita in generale, è essere trasparenti.
Raffaele Garinella – TifoGrifo.com
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