L’avvocato del diavolo
Scritto da Redazione il 28/09/2015Ci sono sconfitte, come quella di La Spezia, o pareggi come quello contro il Cesena, molto più facili da digerire rispetto a pareggi insensati, come contro il Crotone, per non parlare della sconfitta di Pescara. Molto più facili da digerire e capaci addirittura di far cambiare la prospettiva ad un intero campionato, perché il turbo di questo Perugia targato Bisoli comincia finalmente ad entrare.
Nel calcio spesso succede che una squadra non riesca ad esprimere il proprio potenziale, non gira proprio, e all’improvviso invece arriva la svolta, anche solo grazie a qualche piccolo accorgimento tattico. Senza andare troppo indietro nel tempo (ad esempio al Perugia che Galeone rivoltò come un calzino al proprio arrivo e prima del mercato di gennaio, con Baldieri e Notaristefano che neanche vennero fatti cambiare al primo allenamento dal Profeta…), basti vedere la metamorfosi del nuovo Napoli di Sarri: da una squadra che in tre partite aveva raccolto appena due punti subendo sei reti e realizzandone cinque, si è passati ad un’autentica schiacciasassi capace di tritare Lazio e Bruges, di pareggiare a Carpi nel faticoso turno infrasettimanale e di asfaltare quel che ne resta della Juventus con dodici gol fatti e appena uno subito. Questione di interpreti? Anche. Di crescita di condizione fisica e di affiatamento? Sicuramente. Di metabolizzazione delle geometrie nuove volute dal tecnico, processo che richiede del tempo? Senz’altro. Di scelte nette tra i titolari e le riserve? Chiaramente. Ma l’insieme di tutte queste componenti non avrebbe prodotto simili risultati se Sarri non avesse escogitato l’accorgimento vero: il cambio di modulo e l’insistere convinto su di esso. Non si tratta di avere la bacchetta magica o di avere trovato nel modulo giusto la pietra filosofale, anche se il risultato pratico potrebbe indurre a pensarlo. Si tratta molto più semplicemente di avere il coraggio di sperimentare sul campo le idee che all’allenatore è obbligatorio che vengano se le cose non vanno in base al proprio credo originario, tenendo sempre ben presenti le caratteristiche dei propri giocatori e l’obiettivo finale: l’equilibrio tra la fase difensiva e quella offensiva. Sembrerà una sciocchezza passare dal 4-3-1-2 al 4-3-3, perchè si tratta di togliere il trequartista tra le linee di centrocampo e attacco e inserire un esterno. In pratica, invece, è stata una rivoluzione industriale ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il Napoli delle prime tre partite giocava con Insigne trequartista alle spalle di Higuain ed uno a rotazione tra Gabbiadini, Mertens e Callejon ad affiancare El Pipita sulla stessa linea. Col risultato che il Napoli perdeva tre uomini che non ripiegavano mai in fase di non possesso (hai voglia a dire ai difensori che sono scarsi con tre uomini che non partecipano alla fase difensiva…), toglieva spazi al suo fuoriclasse argentino che venivano intasati con risultati assai modesti da Callejon e Mertens che seconde punte non sono. E’ stato sufficiente tenere larghi Insigne e Callejon, chiamandoli a ripiegare sulla linea dei centrocampisti in fase di non possesso e restituire l’intera area di rigore ad Higuain, per segnare dieci gol e subirne zero.
Questa non casuale premessa ci consente di tornare a bomba.
Il Perugia nel secondo tempo a La Spezia e contro il Cesena ha proposto qualcosa di simile, al cospetto di avversarie tra le più attrezzate e costate milioni di euro. Lo Spezia non ha mai tirato in porta ed è passata solo grazie ad una prodezza balistica di Brezovec (complice l’errata chiusura su di lui di Della Rocca) e ad una buona dose di fortuna: non è una bestemmia dire che già il pareggio sarebbe stato stretto al Grifo. Il Cesena del troppo sbruffone Drago è stato proprio crocifisso, salvato solo dai legni e da Abisso. L’atteggiamento e le soluzioni viste in Liguria e al Curi sabato fanno ben sperare in chiave futura, considerati i notevoli margini di miglioramento (troppi gli errori banali correggibili) e la sensazione che il nulla del secondo tempo contro il Crotone ed il poco poco di Pescara siano oramai alle spalle. Come mai il brutto anatroccolo delle succitate prestazioni, incapace di impensierire chiunque, si è invece trasformato nella mietitrebbia che ha chiuso nella propria area di rigore Spezia (per un tempo) e Cesena (intero match)? Perché Bisoli, abbandonato già sul nascere il suo amato 4-3-1-2 per manifesta carenza genetica di interpreti idonei alla bisogna, abbandonati i velleitari e fallimentari esperimenti di Pescara col 3-5-1-1 e del primo tempo di La Spezia con un 4-3-3 intrigante, ma solo in prospettiva e da riproporre con Del Prete, Volta, Belmonte e Alhassan dietro (due terzi che spingono bene sul loro piede naturale), Della Rocca in mezzo a dettare i tempi con Rizzo e Spinazzola mezze ali, il fenomeno Drolè (eravamo stati profeti sin troppo facili nell’invocarne l’utilizzo già dopo Pescara…) ed il ritrovato, caterpillerico Lanzafame a supporto di Ardemagni, ha svoltato deciso verso quel che gli aveva detto il campo. E quindi sul 4-2-3-1, non prima di essersi chiarito ben bene le idee su chi poteva contare e conseguentemente aver rispedito ai baracconi (o da Menchetti, è uguale) i fenomeni da baraccone o poco più a sud – ovest (Sodalizio San Martino) i campioni del tempo che fu, ovvero ancora poco più a nord est (asilo nido Pinocchio) i bimbi ancora da svezzare: tutti spediti da Bisolone ad adattarsi a realtà a costoro più consone rispetto alla serie B di quest’anno. Si è grattato non poco la zucca il Misterone alla ricerca degli interpreti migliori, ma alla fine tanto di cappello. Nella squadra stenterella e mortaccina delle precedenti uscite ha inserito l’eccellente Belmonte dietro (barba a parte. Mi domando, ma si crederà più bello con quel cespuglio ispido e nero in viso?), il raffinato palleggiatore Della Rocca ancora al 40% di condizione (a chi rimpiange Verre, è facile rispondere: magari averlo avuto l’anno scorso) e soprattutto il fenomeno Drolè, da chi scrive già paragonato tre settimane fa ad Alexis Sanchez (nientemeno) nel silenzio generale, capace con le proprie serpentine di scardinare qualunque difesa, per non parlare del capitano Comotto, straordinariamente intelligente e prezioso nel tenere a bada arbitro e avversari anche con la dialettica. Sono bastati quattro innesti, uniti a tutto il resto prima citato nel paragone col Napoli di Sarri per darci un Signor Grifo capace per davvero (e non solo a parole, quelle delle conferenze stampa di inizio stagione) di giocarsela con tutte. Ma quattro innesti – si badi bene – nell’unico schema logico per questa squadra, il 4-2-3-1, con il quale tra precampionato e campionato (Milan a parte), lo ricordiamo ancora, il Perugia ha pienamente convinto chiudendo la saracinesca. Carpi, Bari, Teramo, Reggiana, Como, Crotone (primo tempo), La Spezia (secondo tempo), Cesena col 4-2-3-1 sommano otto gol fatti, uno appena subito: legni, gol annullati o falliti per poco e torti arbitrali nemmeno li contiamo. La strada è bella che tracciata, nessun dubbio, perché la solidità della fase difensiva con questo schema e con questi interpreti è un dato acquisito (rivedere le chiusure preventive di Ardemagni e Lanzafame su Cascione, per credere), perché in mezzo al campo Della Rocca e Rizzo giocano e dialogano molto ravvicinati tra loro creando da subito la superiorità numerica nel momento in cui si riconquista palla e riparte l’azione, perché finalmente le occasioni da rete iniziano ad arrivare copiose e per giunta con soluzioni assai eterogenee. Ad esempio contro il Cesena (mai arrivato ad impensierire Rosati), il gol annullato è frutto di un cross dalla trequarti con chiusura sul palo opposto, il palo di Rizzo (in notevole crescita tecnica) con tiro da fuori, il palo di Belmonte da palla inattiva, la traversa di Ardemagni da inzuccata su cross dal fondo, per non tacere degli sconquassi prodotti dalle accelerazioni di Drolè o di Lanzafame. Da limare ancora, invece, la finalizzazione nell’ultimo passaggio, ma arriverà anche su questo fronte il sereno.
A chi storce il naso per la miseria dei cinque punti in classifica, è agevole obiettare che siamo appena all’inizio e che la musica è cambiata per davvero rispetto alle prime apparizioni. E contro la sfiga e gli arbitri di questa prima fase vengono in mente le parole con le quali l’indimenticato Brandon Lee chiudeva nel 1994 il film – cult The Crow, Il Corvo: “non può piovere per sempre”.
Michele Antognoni