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La bussola non funziona. Cosa vuol fare la società?

Scritto da il 17/02/2020

 

Tutto sbagliato, tutto da rifare? Potrebbe essere questo, parafrasando il grande Gino Bartali, il laconico e brevissimo interrogativo non solo di un Frosinone-Perugia che ha lasciato, ancora una volta, l’amaro in bocca ai tifosi biancorossi. Erano all’incirca 400 quelli scesi in Ciociaria per sostenere la squadra dagli spalti di un impianto nuovissimo ed elegante ma tanto “leggero” da sembrare quasi provvisorio, con le sue gradinate in acciaio zincato e la sola tribuna in cemento, recuperata dalla prima struttura del vecchio Casaleno, lasciata per molti anni incompiuta.

La sconfitta brucia, tanto più perché rimediata contro una squadra in emergenza, priva di ben sei titolari. Rivalità? Quasi derby? Per nulla. Chi ormai ha qualche annetto sulle spalle non considera altre sfide sentite all’infuori dei due classici che la storia e la geografia ci hanno imposto: Ternana e Arezzo. Un gradino sotto, per “calore” e “ruggini”, vengono poi le sfide con Salernitana ed Ascoli. Non certo con il Frosinone. Del resto, nei suoi primi cento anni di storia calcistica (1906-2005), il sodalizio laziale non si è mai affacciato al di fuori della terza serie, gravitando a lungo tra C2 e D, tanto da impedire alle due squadre di incontrarsi, con la sola eccezione della C1 1988-’89. Solo l’ambiziosissimo gruppo costruito dall’appassionato presidente Maurizio Stirpe ha potuto compiere il miracolo sportivo nel corso degli ultimi tre lustri, portando i giallazzurri ai massimi livelli, con la conquista per ben due volte della massima serie.

Di contro, il Perugia, manca all’appello della Serie A ormai dal 2004. Protagonista su quella panchina piena di entusiasmo (e di talenti) era proprio Serse Cosmi che, sedici anni più tardi, è tornato a guidare i grifoni. I tempi, però, sono cambiati. Oggi, la piazza di Perugia non è più la straordinaria realtà di provincia degli anni Settanta, capace di sfiorare uno scudetto e chiudere un intero campionato senza sconfitte, e nemmeno la terribile matricola di vent’anni fa, che castigava Juventus, Milan o Inter al “Renato Curi”, conquistando la semifinale di Coppa Italia.

Dopo il fallimento del 2010, il peggiore nella storia del Perugia, e l’incubo ad occhi aperti della ripartenza dalla Serie D, i tifosi, anche quelli cresciuti assaporando il “caviale” dell’era Gaucci, hanno ormai imparato a masticare amaro. Quasi nessuno ritiene ripetibile qualcosa che appartiene al passato e che, in quanto tale, non tornerà più ma la recente scomparsa del presidentissimo che riportò il Perugia tra le grandi, in Italia e in Europa, ha alimentato – com’è logico – una sensazione di nostalgia, rinfrescando nella mente di tanti tifosi i ricordi forti ed indelebili di quella stagione d’oro.

Tutti si aspettano che questa nuova epoca del Perugia possa tornare a regalare soddisfazioni concrete, allestendo un organico capace di lottare per ottenere risultati di spessore. Giunti ormai alla sesta stagione consecutiva in Serie B è legittimo tracciare un bilancio. In questo arco di tempo, a Pian di Massiano, sono passati otto allenatori con i rispettivi staff tecnici e circa un centinaio di giocatori. Massimo piazzamento fin’ora ottenuto è il quarto posto (con 65 punti) agganciato alla fine della stagione 2016-’17, finita con la cocentissima delusione per la semifinale playoff persa – tra andata e ritorno – contro il Benevento, malgrado il vantaggio iniziale dei due risultati utili su tre. Quella ghiotta occasione, sfuggita a due passi dal traguardo, ha fatto da spartiacque tra un primo periodo, dove la squadra ha dovuto fisiologicamente consolidarsi nella cadetteria con l’obiettivo di centrare la massima serie entro tre anni (era stato questo l’annuncio di Santopadre dopo la promozione del 2014), ed un secondo periodo in cui sembra aver prevalso la frustrazione per non aver dato seguito alle ambiziose promesse.

Dopo l’addio di Christian Bucchi al termine di quella stagione, la successiva andò malissimo con Giunti, sostituito già ad Ottobre con Breda, che raddrizzò sì la barra ma non abbastanza, tanto da perdere malamente una straregionale casalinga con una clamorosa rimonta della Ternana per poi essere inspiegabilmente cacciato ad una giornata dalla fine del campionato, a spareggi conquistati malgrado uno scialbo pari interno con il Novara. Al suo posto arrivò Nesta, messo in panchina per appena due partite, perdendole entrambe: 2-1 all’ultima giornata sul campo dell’Empoli ed un sonoro 3-0 a Venezia nel turno preliminare degli spareggi-promozione. All’ex difensore di Lazio e Milan fu affidata la panchina anche per la stagione successiva ma sul campo la squadra ottenne soltanto il nono posto in classifica. La sentenza che condannò il Palermo, di fatto, fece scorrere la graduatoria di una posizione permettendo al Perugia di guadagnarsi nuovamente l’accesso agli spareggi-promozione, ma un Verona ben più attrezzato trafisse i grifoni al primo turno con un netto 4-1, sebbene ottenuto ai tempi supplementari.

Quest’anno ancora un nuovo progetto, stavolta con Massimo Oddo e, per la prima volta nell’era Santopadre, con un contratto biennale che lasciava intendere il proposito di dar vita ad un progetto mirato a quella continuità che era sempre mancata. Altro giro, altro nulla di fatto. Dopo la sconfitta casalinga rimediata contro un modesto Venezia all’ultima giornata del girone d’andata, la società decide di esonerare l’ex terzino destro della Nazionale per chiamare Serse Cosmi pochi giorni dopo. Il tecnico ponteggiano, osannato dai tifosi nel giorno della conferenza stampa di presentazione a Pian di Massiano, si ritrova praticamente nella stessa situazione dei suoi predecessori, costretto a guidare una squadra evidentemente incompiuta, costruita dalla società cercando di conciliare, come al solito, le esigenze tecnico-tattiche con quelle del bilancio. Equilibri difficilissimi da preservare con efficacia di risultati, specie nel contesto di una piazza che – inutile girarci attorno – vorrebbe di più.

Al di là dello scarsissimo impegno mostrato da diversi giocatori contro Spezia e Frosinone, così come da altri in altre occasioni, c’è da chiedersi tuttavia se il valore della rosa di quest’anno sia davvero così competitivo come si è ritenuto nella prima parte della stagione e se possa reggere il confronto con gli organici di squadre quali Spezia, Frosinone, Crotone o Empoli, al momento senz’altro più accreditate del Perugia non solo per il secondo ma, a questo punto, anche per il terzo posto.

Va giustamente ricordato che le possibilità economiche di questa società, come sempre ammesso dallo stesso Santopadre, sono minori rispetto a quelle di altre piazze. Non tutte le compagini vittoriose degli ultimi anni hanno però beneficiato del cosiddetto paracadute finanziario, concesso a chi retrocede dalla Serie A. Tra il 2015 e il 2019, Frosinone, Carpi, Benevento, SPAL e Lecce hanno addirittura compiuto un doppio salto consecutivo dalla C1 alla A, vincendo il campionato da neopromosse. Paracadute o meno, insomma, resta determinante la capacità e la volontà di investire cifre, anche (ma non necessariamente) importanti, su giocatori in grado di fare davvero la differenza in questa categoria. Gli introiti ottenuti grazie alla valorizzazione di giovani di belle speranze di vivai altrui sono importanti, ma a patto che vengano poi investiti, almeno in parte, per la costruzione di una squadra davvero competitiva.

Il mercato di gennaio del Perugia è andato invece nella direzione opposta. Ha senso affidare la panchina ad un nuovo allenatore nel girone di ritorno per lasciare sostanzialmente intatta la squadra che ha raccolto un bottino ritenuto insoddisfacente nel girone d’andata? I soli innesti di Romario Benzar, inutilizzato a Lecce, di Leandro Greco, ormai quasi trentaquattrenne e di fatto inutilizzato a Cosenza, e di Slobodan Rajkovic, reduce da oltre sei mesi di inattività dopo il fallimento del Palermo, in questo momento non possono portare alcun consistente valore aggiunto ad una squadra che aveva bisogno di tre giocatori, uno per reparto, già pronti e adatti alla categoria.

La società, che nel corso degli ultimi due anni ha privilegiato un più basso profilo, viene oggi percepita da molti tifosi come la grande assente di fronte alle debacle più clamorose e ai momenti più negativi della squadra. Tranne qualche occasionale breve messaggio motivazionale di Santopadre, evidentemente inefficace sul rendimento della squadra, non pare esserci molto altro. A questo punto, tutti i dubbi della piazza sembrano leciti. Non c’è più l’entusiasmo di qualche anno fa? Qualcosa nei meccanismi societari si è inceppato? Le difficoltà della Serie B si sono rivelate più ostiche del previsto? E, soprattutto, c’è ancora l’intenzione di andare avanti in questo modo? Se così non fosse sarebbe doveroso farlo sapere pubblicamente. La tifoseria e le istituzioni cittadine dovrebbero essere necessariamente coinvolte, in modo da individuare tutti insieme una soluzione diversa che possa rilanciare le sorti del Perugia.

 

 

 

 

Andrea Fais – Gruppo Editoriale ASI

 

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il 17/02/2020.
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