Ci vorrebbe un Gallinari
Scritto da Redazione il 11/09/2025Domenica, come penso molti di voi, ero a casa a vegetare sul divano e a passare in rassegna gli eventi di motociclismo, pallavolo femminile, automobilismo, basket e tennis. Una domenica stancante, non devo certo spiegarvelo.
La visione prolungata di altri sport mi ha ricordato come ormai io mi sia disaffezionato al calcio. L’anno scorso, per dire, ho visto solo due partite di calcio al di fuori di quelle del Perugia, posto che quelle del Perugia fossero partite di calcio, assunto in diversi casi opinabile.
Domenica, per una giornata, sono tornato a vedere sport, quello sport che ci può dare emozioni positive o negative, ma sempre legato a gesti atletici e, nei casi di sport a squadre, dinamiche di gruppo organizzate.
Dopo aver visto le vittorie della nazionale italiana femminile di pallavolo (dalla semifinale epica col Brasile alla finale con la Turchia), avevo pensato di scrivere un articolo rispetto a quanto il gioco di squadra sia fondamentale nella riuscita di un progetto sportivo, e quanto manchi quando si guardano le partite del Perugia.
E però sarebbe stato anche un po’ cialtronesco fare un paragone tra una nazionale sul tetto del mondo e una squadra di serie C che sta annaspando per cercare una identità, anche perché, diciamocelo chiaramente, l’ultimo allenatore che è riuscito a dare una identità di gioco al nostro Perugia penso sia stato Alvini con quella sorta di gegenpressing da Bundesliga che ha portato il Grifo non troppo lontano dalle porte della serie A, che a scriverlo oggi sembra preistoria.
Poi ho visto gli ottavi di Eurobasket tra Italia e Slovenia. E lì, a mio avviso, il paragone ci sta eccome.
Il basket è forse lo sport di squadra per eccellenza, dato che in un campo piccolo hai continui confronti diretti, anche fisici, contro gli avversari e quindi ad ogni azione, che ha un arco di tempo di 24 secondi, devi inventarti movimenti e sinergie per creare il miglior tiro possibile.
Come saprete l’Italia è stata eliminata dalla Slovenia di Doncic (ho appena scritto che il basket è uno sport di squadra, ma se in una squadra c’è un fuoriclasse non è che si possa far finta di nulla), che nelle fasi iniziali aveva lui da solo segnato il doppio dei punti dell’Italia.
A meno venti o giù di lì, la nazionale di basket ha continuato però a giocare e ad erodere lo svantaggio, sia coi giovani tipo Niang, sia coi vecchietti come Gallinari, che da veterano ha iniziato a giocare da fulcro della squadra, rallentando, accelerando, passando, tirando.
Punto dopo punto, e nonostante diversi canestri contrari messi dagli Sloveni in maniera avventurosa, la nazionale italiana si è riportata a contatto diretto con gli avversari. È mancato alla fine il canestro dell’aggancio e la partita ha preso la strada di Lubiana, ma sia dal palasport che dal mio divano si sono levati applausi perché la nazionale, da Gallinari a Niang e passando da tutti, e dico tutti, coloro i quali avevano messo piede sul parquet, aveva dato tutto.
Se vi chiedete perché scrivo queste cose in un articolo sul Perugia non avete nemmeno torto. Provo a spiegarmi, il gancio col Perugia è questo: da quanto tempo non ci emozioniamo allo stadio o davanti allo schermo? Da quanto tempo non finisce una partita con la sensazione che la squadra abbia dato tutto? Da quanto tempo i grifoni non danno l’idea di essere messi meglio degli altri in campo, di avere schemi che li aiutino nell’imporsi, di avere, in breve, una identità che non sia quella negativa degli ultimi anni? Da quanto tempo vediamo nuovi acquisti che si presentano bene o almeno decentemente (Montevago, Joselito, Giraudo, Kanoute) e che poi sfioriscono omologandosi allo spento tran tran che ben conosciamo?
Quanto ci servirebbe un Gallinari che sia di esempio agli altri, quanto ci servirebbe un Gallinari per “emozionarci”? Non chiedo una Sylla o un Sinner. Mi basterebbe un Gallinari che dà tutto sul campo e che mi guarda dopo la sconfitta, ma sudato e con la coscienza di avere dato tutto e di non aver mai mollato, per sé, per i suoi compagni e forse anche per i tifosi, per chi l’ha sostenuto anche da lontano.
Invece quando si parla di Perugia ultimamente si parla di quanto viene investito dalla società, di cosa è venuta a fare la proprietà, accolta come se rappresentasse la liberazione da quegli stessi che ora gli sputano addosso, di come si potrebbe stare meglio con situazioni di pura fantasia o con gli amici degli amici.
Il calcio è ormai una scusa, e se provo un certo rigetto per lo sport calcistico, lo provo a maggior ragione per come viene gestito, dalla federazione a chi frequenta o lambisce le squadre di calcio, specialmente la mia, per veicolare messaggi non sani.
Io sono il primo a non essere contento di come è stato portato avanti il calciomercato estivo, e per fortuna l’arrivo di Megelaitis ha coperto un buco enorme, anche se l’impressione è che lo copra in centro difesa /sull’esterno destro e non nel ruolo di regista / centromediano davanti alla difesa che per me, se si vuol fare un 4-3-3, è il vero ruolo scoperto di questo Perugia, perché con Joselito battezzato mezzala (qualche dubbio a riguardo lo ho) in quella posizione ci sarebbe il solo Torrasi che peraltro non è partito spesso titolare.
Io sono il primo che per completare la rosa avrebbe preso due prospetti, anche dalla serie D o caricando due argentini semiamatoriali nell’aereo di ritorno, per sperare poi che ne venissero fuori i Torricelli o gli Evrà di turno, anche solo per avere il brivido della speranza.
Ma più di tutto questo, in una categoria con squadre virtualmente fallite e altre con strutturazioni quasi parrocchiali, vorrei vedere sul campo un progetto di gioco, una riconoscibilità in ciò che si fa, uno schema di gioco che si capisca cos’è e che non cambi dopo 45 minuti della prima partita di campionato contro il Guidonia. La mia impressione è che a volte nemmeno si sa più come giochiamo, che va bene il calcio posizionale (che poi se mi arriva Cangelosi in panchina io da amante del calcio di Zeman penso più ad un calcio verticale che fin qui non si è visto), ma oltre ai passaggi ed al controllo del pallone (quando riescono) c’è anche da fare i movimenti, e quelli qui a Perugia da anni si fanno con stile compassato e quando ci si ricorda.
La sensazione, negli ultimi anni, è di vedere delle eterne amichevoli precampionato contro formazioni magari modeste, ma coi giocatori che almeno danno l’idea di conoscersi, che hanno un piano di gioco (cito il Pontedera di Canzi, per dirne uno). Per carità mi va bene anche l’accettare la categoria di sarriana memoria, che non ho mai pensato che tutto ci sia dovuto perché siamo il Perugia, ma almeno giochiamocela, e facciamolo con uno spartito.
Vedere Gallinari piangere è stato doloroso perché in fondo mi ha ricordato quello che è lo sport. Se la società vuole costruire credo che ricreare una identità di squadra è il primo obiettivo che Meluso e company devono darsi. Altrimenti puoi comprare anche Mbappè, ma rischi che resti lì a pascolare senza costrutto.
Forza Grifo!
Federico Basili per TifoGrifo