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C risiamo! Analisi e responsabilità di un fallimento. Come ripartire? 

Scritto da il 22/05/2023

 

Un’annata piena di errori

Neanche tre anni dopo, il Perugia conosce ancora l’amaro sapore della retrocessione in serie C. 

Cioè, il purgatorio del calcio professionistico, del tutto inadeguato alle tradizioni sportive e all’importanza di un  capoluogo di regione. Insomma, ci risiamo. Tre anni fa la retrocessione fu il combinato di errori societari, spaccature interne alla squadra (pur tecnicamente valida) e arrivò inaspettatamente  al termine di un campionato falsato dallo scoppio della pandemia e terminato eccezionalmente alla vigilia di ferragosto. Stavolta, invece, la terza serie è arrivata annunciata fin dall’estate, quando la società completò tardi, parzialmente e male (in rapporto all’allenatore scelto) un gruppo di scarso livello tecnico medio, male assortito e non convinto in tutti i suoi elementi di doversi adeguare ai dettami tattici di Castori: la messa in disparte dalla rosa di Angella/Rosi fu la prima grana di stagione. Gli errori di improvvisazione, tipici di chi non ha tracciato un percorso da seguire, ma procede a tentoni, sono poi proseguiti con il frettoloso esonero di Castori dopo  il derby di Terni e la chiamata di Baldini, che ben presto si rese conto di avere a che fare con un gruppo tecnicamente non all’altezza e non cementato dal punto di vista dello spirito di squadra. Il richiamo di Castori sembrò sistemare le cose e tra dicembre e febbraio il Perugia ha espresso il meglio della stagione in termini di gioco e di risultati. Forse confidando troppo nel momento buono, a gennaio la società pensò bene di indebolire (sic) anziché rafforzare la rosa con la cessione di Melchiorri e Strizzolo, rimpiazzati (si fa per dire) dall’acerbo Ekong. Se perseverare è diabolico, ecco spiegato l’inferno in cui è caduto il Grifo. Ancora a marzo, comunque, la squadra di Castori sembrava destinata ad una salvezza non facile, ma probabile. Invece, nel momento della verità (non a caso) le magagne son venute fuori. Tutti i limiti di qualità e di personalità son diventati come macigni nelle testa e nelle gambe dei giocatori. Così si spiega il finale assurdo e deprimente che ha condotto il Perugia a retrocedere per un punto, incapace di agganciare almeno il quartultimo posto, che dà diritto al play out e, probabilmente, garantirà comunque la salvezza anche alla perdente in virtù della vicenda Sampdoria. 

 

Le colpe della società. 

Le responsabilità di una sconfitta sono, come quelle dei successi, diffuse. Resta però difficile, per la stagione in corso, non attribuire alla società le colpe non solo principali, ma anche decisive. Il modello gestionale di Santopadre è stato, nel corso del tempo, sempre lo stesso. Ma, negli ultimi  anni, le caratteristiche che adesso sono oggetto delle critiche, si sono acuite. Campagne acquisti fatte senza un disegno, prendendo quello che il mercato offriva a minor prezzo, sia del cartellino che dell’ingaggio. I pezzi migliori in prestito, cosicché risulta difficile dare continuità ad un gruppo, che da sempre è il segreto dei successi costruiti nel tempo. I (rari) giocatori di proprietà che hanno un mercato, ceduti appena richiesti, cioè per l’uovo oggi, anziché tenerli e valorizzarli (gallina domani) un anno in più. Stesso principio per i giovani del vivaio, quei pochissimi, in verità, che hanno avuto un mercato nel corso del decennio di Santopadre. E, quanto al settore giovanile, molta attenzione alle affiliazioni, poca alla qualità delle squadre e degli staff. Nel complesso, nella gestione economica della società, una attenzione spasmodica alle entrate e una ritrosia proverbiale alle spese, spesso scambiata per gestione oculata (i famosi conti in ordine) ma oggettivamente poco all’insegna di uno spirito imprenditoriale vero, quello che sa distinguere tra una spesa ed un investimento. Dove la prima è un’uscita secca, il secondo una potenziale fonte di future entrate. Investire oggi in giocatori, strutture, qualità degli staff tecnici, vuol dire investire in un domani in cui quei fattori possono diventare remunerativi ben oltre la spesa. Certamente, questo approccio comporta il rischio che qualcosa non funzioni, che non vi sia, o non vi sia nell’entità sperata, ritorno ecocomico e gestionale. Ma questo è, appunto, il rischio d’impresa, quello tipico che si accolla un imprenditore. Fare solo quello che procura guadagni sicuri  e evita spese oggi, alla lunga porta la gestione di un’azienda, anche calcistica, ad una specie di asfissia, perché ne limita l’azione alle sole operazioni possibili che non comportino rischi. È questa l’impasse in cui si trova oggi il Perugia di Massimiliano Santopadre, che vive alla giornata. E, quando la giornata va storta, non ha altre prospettive cui attingere. 

 

Il ds Castagnini

Sono imputabili alla società anche l’abbandono del ds Giannitti, uno che aveva fatto benissimo nei due anni a Perugia, e la scelta del suo sostituto Castagnini, capace di dichiarare a gennaio che occorreva ringiovanire la rosa. Affermazione che intendeva giustificare, con la squadra ancora  in piena zona retrocessione, la cessione di Melchiorri e Strizzolo, fino ad allora i due marcatori più prolifici del Grifo, in cambio dell’arrivo di Ekong. È capace anche, a supporto di tale operazione, di sostenere che il Perugia avrebbe potuto attingere comunque dalla squadra Primavera, dimenticando che tale squadra era immersa nella mediocrità di un campionato tutt’altro che esaltante e non aveva espresso alcuni giocatore meritevole di una promozione in prima squadra. A conferma che è proprio vero che, a volte, per essere più realisti del re, si perde di vista la realtà. 

 

Castori 

Fabrizio Castori lo abbiamo a lungo considerato una garanzia e restiamo convinti che, senza di lui, il Perugia non avrebbe avuto la reazione che lo ha portato a cavallo dell’anno dall’ultimo posto a fuori dalla zona retrocessione. Cioè, che si deve a Castori se il Perugia non è stato il Pordenone dell’anno scorso, che era virtualmente retrocesso già a Natale. Il dato fondamentale è che il materiale a disposizione del tecnico non era di eccelsa qualità e, in alcuni ruoli, nemmeno con le caratteristiche adatte al suo gioco. All’allenatore marchigiano si può magari imputare la monotematicità tattica che ha impedito di trovare soluzioni alternative nel momento in cui le squadre avversarie capivano come impedire al Perugia di iniziare l’azione in modo pulito. E, anche, l’insistenza su alcuni giocatori che hanno reso forse meno di quanto da lui sperato, dando, per così dire, un contributo importante all’annata fallimentare del Perugia. 

 

I giocatori

Quanto a i giocatori, riconosciuto loro l’impegno messo, i risultati ottenuti sul campo, hanno evidenziato i loro limiti tecnici, a cui si potrebbe aggiungere che molti di loro hanno anche mostrato una fragilità mentale e psicologica che, in certi momenti, li ha portati a dare anche meno di quel che avrebbero potuto. Alcuni di loro hanno avuto una stagione travagliata per via degli infortuni, altri hanno pagato pesantemente la loro età calcisticamente avanzata, altri ancora l’inesperienza legata all’età. Più in generale, come acutamente si espresse Baldini nella conferenza di addio, l’insieme dei giocatori non ha fatto famiglia. Cioè il gruppo, per cause e responsabilità varie, non si è cementato. Questo ha impedito in molte circostanze di raggiungere o migliorare prestazioni e risultati. E, dato che il Perugia alla fine è retrocesso per un punto, questa carenza è stata decisiva. 

 

I tifosi. 

Infine, da ultimo, ma non ultimo per importanza, i tifosi. Sempre presenti, fino all’ultimo, nonostante la mediocrità dello spettacolo, capaci di seguire la squadra in modo appassionato e consistente, al Curi come nelle trasferte più disagevoli. Sono loro, senza retorica, ma con realismo, la vera risorsa, la reale ricchezza, il punto fermo da cui ripartire e su cui fondare l’ennesima rinascita cui il Perugia è chiamato nella sua storia pluricentenaria.  

 

Ripartire da un progetto aziendale serio e di lungo periodo…

Adesso la situazione sembra davvero molto difficile. C’è una squadra da rifare in pratica per intero. Una serie C difficile da affrontare, con molte piazze importanti che vogliono risalire e con risorse economiche tutte da inventare. Non si sa se la proprietà passerà di mano. E, in caso affermativo, non si conosce il nome dell’eventuale successore di Santopadre. Ma, chiunque guiderà  il Perugia, se vorrà costruire qualcosa di solido e duraturo, non potrà improvvisare. Nel calcio come in tutte le aziende, conta il progetto e la capacità di mettere le fondamenta per una crescita che prosegua nel tempo. Il calcio, è vero, è un’azienda particolare, nella quale sembrano contare di più i risultati immediati. Ma i grandi successi, i cicli fortunati, nascono dal lavoro nel lungo periodo. Conta seminare bene per raccogliere meglio. Vi sono esempi di società in tal senso virtuose anche in Italia: Atalanta ed Empoli su tutte. Un’impresa calcistica deve saper trovare fattori produttivi di rendita, dal settore giovanile allo stadio di proprietà, capaci di disegnare un progetto industriale che la faccia durare e sviluppare nel tempo. Il Perugia di Gaucci, per restare a noi, aveva intrapreso questa strada con la creazione di un settore giovanile e di uno scouting di alto livello e la proposta, all’avanguardia per  quei tempi in Italia, della costruzione dello stadio di proprietà. Cioè, tutt’altro che improvvisazione e carpe diem. 

 

Ma in una società di calcio, questi elementi gestionali ed economici, importanti e decisivi, devono restare dietro le quinte, sullo sfondo, e non assumere le sembianze dell’unica cosa che conta per chi gestisce la società. Resta vero che al centro di un progetto calcistico deve esserci il territorio, la città, i tifosi e la loro passione. Cioè, la capacità attrattiva ed evocativa di una squadra di calcio verso il contesto, in termini di coinvolgimento delle istituzioni, della realtà economica e, più in generale, della società. Questo, sul presupposto che una società di calcio è patrimonio del suo territorio, e contribuisce a valorizzarlo nel mentre ne viene a sua volta arricchita. Questo aspetto caratterizzante, nell’era Santopadre si è andato progressivamente ad affievolire, sovrastato dalle valutazioni economicistiche non di rado esasperate. I “conti a posto”, valore, è vero, sempre più importante nelle imprese calcistiche moderne, non possono finire per prevaricare o addirittura annullare gli aspetti passionali e, quindi quelli tecnico-calcistici. Altrimenti, il mezzo si sostituisce al fine. Che è quanto avvenuto a Perugia negli ultimi anni. E non dovrà ancora avvenire. Ripartire da queste considerazioni potrebbe rendere  meno dura la caduta in serie C e dare prospettive di ripartenza capaci di attirare attorno al Perugia l’attenzione ed il calore che negli ultimi anni si sono affievoliti.

Redazione TifoGrifo

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