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Un tuffo nella memoria del Grifo – Max Ferrigno si racconta in esclusiva: “Perugia mi è cara, vi spiego perché è stato il mio progetto a metà. Ecco perché vorrei tornare al Curi”.

Scritto da il 04/11/2022

La vita è adesso nel vecchio albergo della terra, e ognuno in una stanza e in una storia. Parole e musica di Claudio Baglioni, ideali anche per far conosce lo stato d’animo di Massimiliano Ferrigno, Max per gli amici, in quell’estate afosa del 2004. A volerlo a Perugia, a convincerlo a sposare la causa biancorossa furono Alessandro Gaucci e Stefano Colantuono, due suoi grandi estimatori. 

 

“Mi convinsero qualche giorno prima del ritiro estivo, ci incontrammo e mettemmo nero su bianco. Fu tutto molto rapido e semplice, tra noi nacque subito una bella sintonia”. 

 

Qualcuno potrebbe erroneamente pensare che quello fu l’assist decisivo per rientrare nel calcio dopo una lunga squalifica legata alla vicenda con Bertolotti. Niente di più sbagliato. A credere fermamente in Ferrigno fu Enrico Preziosi. L’ex numero uno di Como e Genoa non si lasciò condizionare da quella spiacevole vicenda, fu il primo ad applicare quell’antico proverbio giapponese secondo cui ogni matita è dotata di gomma perché tutti – nessuno escluso – commettono errori. La tenacia di Preziosi fu decisiva per superare le perplessità di Ferrigno. 

 

“Non avrei voluto tornare a giocare ma lo dovevo a Preziosi e alla sua famiglia. Mi erano stati vicini moralmente e mi avevano concesso l’opportunità di costruirmi un lavoro differente da quello del calciatore durante quei lunghi anni di squalifica”. 

 

Dopo aver salutato Como, quel ramo di lago che lo cullava dolcemente nei momenti di maggior sconforto, che lo confortava nelle serate in cui dormire diventata difficile per via di un silenzio dalle tante domande a cui era difficile rispondere, Ferrigno prese il suo borsone con dentro i suoi ricordi in agrodolce e raggiunse Perugia. 

 

“Vissi quel primo ritiro estivo dopo quella lunga squalifica con tanta incertezza. Mi ponevo tante domande, non sapevo se quella sarebbe stata davvero la scelta giusta. Scavavo profondamente dentro di me, mettevo a nudo il mio animo per comprendere se avessi ancora tutti gli stimoli necessari per continuare ad essere un calciatore professionista”. 

 

La scelta fu buona, Ferrigno e il Perugia avevano in comune la stessa voglia di rivalsa. Il Grifo veniva da una retrocessione in serie B dopo aver perso lo spareggio con la Fiorentina. Bramava a quella serie A immeritatamente perduta, Ferrigno voleva tornare a calciare il pallone con quell’estro e quella fantasia che lo avevano accompagnato negli anni migliori. Insieme non si arresero, neanche quando la fatica avverita in ritiro cresceva al pari degli stimoli, o quando il piede inciampava e gli occhi bruciavano per il sudore. Quello era uno squadrone che poteva contare sulla saggezza e sul nobile animo di Davide Baiocco, sulla tenacia di Ferdinand Coly, sulla forza dell’arciere Gennaro Delvecchio, sui gol di Do Prado, Ferreira Pinto, Sedivec e Penna Bianca Ravanelli. 

 

“I compagni mi accolsero con grande disponibilità e senza pregiudizi. Era un gruppo con le sue regole e i suoi equilibri. Per un carattere come il mio l’inserimento fu abbastanza facile. Legai con tutti, erano uomini con profondi valori umani e professionali, uniti dalla voglia di vincere e di riportare il Perugia in serie A. Dentro di noi avevamo la consapevolezza di essere, al pari del Genoa di Serse Cosmi e di Diego Milito, la squadra più forte”. 

 

L’esordio in campionato fu dei migliori. Sabato 11 settembre 2004, stadio Curi. Il Perugia affrontò e affondò il Crotone di Gasperini con reti di Delvecchio e dello stesso Ferrigno. Un gol liberatorio, i primi ad abbracciare Ferrigno furono Baiocco e Sedivec. A Perugia, Ferrigno si ambientò molto bene anche grazie ad una leggenda come Renzo Luchini. 

 

“Grazie a Renzo fu semplice trovare casa. Mi mise in contatto con sua nipote Cinzia e con suo marito Moreno. Con loro nacque una profonda amicizia che esiste ancora oggi. A Perugia sono il mio punto di riferimento, due persone a cui sono molto legato e con cui ho trascorso tanto tempo. Li considero due fratelli”. 

 

Il bello di voltare pagina è rappresentato dal coraggio di riaprirsi alla vita. Ferrigno lo aveva fatto in quell’estate del 2004, decise di farlo ancora in una sera d’inverno del 2005. Un po’ per non distaccarsi troppo dalla sua azienda di marketing ma anche, e soprattutto, per non lasciare in balìa del dolore una persona che in quel momento aveva bisogno del suo prezioso supporto. 

 

“La mia compagna del tempo aveva perduto improvvisamente suo padre ed era rimasta sola con sua madre e sua sorella. Sentivo il dovere di starle vicino. Quella decisione fu la più giusta che potessi prendere in quel momento”. 

 

Fu così che Ferrigno richiuse nuovamente il suo borsone, con dentro sempre i suoi ricordi ma anche nuove consapevolezze, salutò Perugia come i tanti che non potranno mai dimenticarne bellezza e nobiltà, e tornò dai suoi affetti. Una stagione terminata anzitempo, un progetto a metà. È così che definisce la sua esperienza in biancorosso.

 

“Il Perugia è stato un progetto a metà, finito prematuramente. Adoravo, ed adoro tutt’ora quella piazza straordinaria. Così come ho adorato i perugini, il meraviglioso tifo biancorosso, i miei compagni di squadra. Era davvero tutto perfetto, ma nella scala dei valori ho sempre messo al vertice la famiglia. In quel momento la mia famiglia aveva bisogno di me e non potevo tirarmi indietro. Seguo sempre il Perugia con lo stesso affetto che avevo in quel lontano 2004. Mi piacerebbe tornare al Curi per assistere ad una partita del Grifo, stare in mezzo ai tifosi, salutarli per come meritano. Hanno compreso la mia situazione, l’hanno accettata senza lasciare che il pregiudizio li condizionasse, mi sono stati sempre vicini. Grazie Perugia per quello che mi hai donato, in campo e fuori”. 

 

A Max strappiamo la promessa di un caffè a Perugia. Un modo per attraversare le curve della memoria senza perdere di vista il presente. Per non lasciare andare un giorno, per ritrovare sempre se stessi, perché la vita, citando ancora una volta l’eterno Claudio Baglioni, è adesso.

Raffaele Garinella – TifoGrifo.com

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il 04/11/2022.
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