Vierchowod, cinque lustri dopo ricorda il divorzio lampo con il Perugia: “Con Galeone zero feeling, ho Gaucci nel cuore”
Scritto da Raffaele Garinella il 27/01/2022Parlare il “russo” non è facile, eppure alla fine anche uno dei più forti difensori del calcio italiano fino agli anni 2000 ha aperto la cassaforte dei suoi ricordi e si è lasciato andare per mettere al sicuro il rapporto che ebbe con il Perugia di Galeone e di Luciano Gaucci. Pietro Vierchowod, una bacheca ricca di trofei, come il Mondiale del 1982, due scudetti con Roma e Sampdoria, una Coppa dei Campioni con la Juventus, si racconta ai microfoni di Tifogrifo.
“Tutti pensano che quell’anno abbia lasciato Perugia perché avevo già un accordo col Milan, niente di più falso. Quando lasciai il Perugia e tornai a Como, mi allenai con la squadra della mia città per venti giorni. Se il Milan non avesse perso Franco Baresi per un grave infortunio, probabilmente sarei rimasto senza squadra”.
Pietro Vierchowod ricorda quella torrida estate del 1996, quando in pochi giorni si consumò il dissidio con Giovanni Galeone.
Ero abituato a ben altri allenamenti, a dare sempre tutto e prendere sul serio qualsiasi partita, anche quelle precampionato. In quel mese non vidi la squadra impegnarsi al massimo, né spingersi mai oltre la propria soglia. Pensai che se in allenamento non c’era il giusto impegno, difficilmente avremmo potuto ottenere risultati in campionato. Un approccio non compatibile con il mio modo di vivere il calcio. Feci presente le mie perplessità a Galeone, ma lui mi snobbò.
Vierchowod ha sempre predicato il rispetto dei ruoli.
I calciatori devono avere il giusto timore reverenziale verso l’allenatore. Ho avuto la sensazione che a Perugia non ci fosse tutto questo, che Galeone fosse un pò troppo amico dei calciatori.
La prima crepa in Spagna durante una tournée, la frattura definitiva in Umbria.
Contro il Flamengo disputammo un pessimo primo tempo. La cosa mi fece arrabbiare, così nell’intervallo lasciai lo stadio e me ne tornai in albergo a piedi. Nessuno dei miei compagni mi disse nulla, segno che, evidentemente, non avevo poi tutti i torti. Nonostante i miei successi in carriera, l’aver disputato tre Mondiali e un’Olimpiade, ho sempre conservato la mia umilità, e qualsiasi critica fu mossa negli interessi della squadra, ma qualcosa non tornava. Ne ebbi la certezza quando, rientrati a Perugia, affrontammo in amichevole il Parma. In un Curi colmo di gente, Galeone prima mi fece allenare sotto lo sguardo dei tifosi, poi non mi convocò. Recuperai le mie cose, salutai Gaucci e nella nottata raggiunsi Como.
Un’intuizione felice, con Galeone la scintilla non scoccò, in lui restano grandi ricordi e tanta nostalgia per Luciano Gaucci.
Fu lui a contattarmi e ci accordammo in pochissimo tempo. Il presidente stravedeva per me e non prese bene il mio addio. Sarei rimasto volentieri a Perugia, ma con Galeone in panchina era impossibile. Le nostre filosofie erano agli antipodi.
Tanta acqua è passata sotto i ponti, un parere sull’evoluzione del calcio si impone.
Il calcio di oggi non ha più la qualità di una volta. Ho marcato attaccanti come Maradona, Van Basten, Ronaldo, Boksic e Vieri, lascio agli esperti il compito di trovare calciatori di quel calibro. Anche gli stranieri erano straordinari, mentre oggi qualche acquisto lascia spesso a desiderare. Si parla tanto di costruzione dal basso, strategia nata in Spagna grazie a Real Madrid e Barcellona. La applicavano per costringere le squadre più deboli a spingersi oltre la propria area di rigore ed uscire allo scoperto. Oggi quel gioco lo fanno anche le piccole squadre, ma è assurdo, perché le squadre più forti si ritrovano in area senza sudare guadagnando metri preziosi. Sembra più una moda, quando invece bisognerebbe partire dal basso quando c’è possibilità, altrimenti meglio giocare la palla sugli esterni. Partivamo dal basso anche ai miei tempi, ma quando era possibile e non eravamo marcati.
Raffaele Garinella – TifoGrifo.com
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