Nessun rimpianto: i tifosi ci saranno sempre ma serve una transizione morbida con precise garanzie
Scritto da Redazione il 16/08/2020(ASI) Come nel più scontato dei finali, la gara di ritorno dello spareggio-salvezza contro il Pescara ha messo ancora una volta in luce tutti i limiti tecnici, fisici, caratteriali e psicologici dei giocatori di Massimo Oddo. Purtroppo, il tiro decisivo del pescarese Masciangelo dagli undici metri, che ha chiuso la lotteria dei rigori, resterà un flash scolpito nella memoria dei tifosi del Perugia. Richiamerà l’amarissimo sapore della rete di Favasuli del Pisa nella semifinale playoff di Lega Pro 2012-’13, della rete di Bjarnason del Pescara al preliminare playoff di Serie B 2014-’15 o del finale di partita contro il Benevento nella semifinale playoff di Serie B 2016-’17. Tornando un po’ più indietro nel tempo, ricorderà, per le sensazioni provate, anche il pomeriggio del 1 giugno 1997 dopo la sconfitta di Piacenza o la sera del 6 giugno 1993, quando chi scrive, allora bambino di neanche 9 anni, appena rientrato a casa dai festeggiamenti per la vittoria dello spareggio contro l’Acireale, apprese, come tutti quanti, la notizia della decisione della FIGC di ribaltare la vittoria sul campo per (presunto) illecito sportivo.
In quel torrido pomeriggio di ventisette anni fa, allo Zaccheria di Foggia c’erano circa 18.000 perugini pronti ad accompagnare la squadra di Ilario Castagner verso il ritorno in Serie B, sette anni dopo quel maledetto Perugia-Arezzo che aveva sancito un’altra triste giornata, con la sconfitta interna nel derby dell’Etruria e la retrocessione sul campo in C1, di lì a breve aggravata d’ufficio per lo scandalo del calcio scommesse. La società, colpita assieme ad altre illustri compagini italiane, preferì – unica tra tutte quelle coinvolte – ripartire dalla C2 con “soli” 5 punti di penalizzazione, anziché dalla C1 con un handicap di ben 15 punti.
Insomma, questa piazza è cresciuta non solo gioendo per successi e momenti di gloria ma anche ingoiando tonnellate di delusioni. Alle promozioni, all’imbattibilità, alle qualificazioni in Europa vanno sommate le retrocessioni, i fallimenti e le penalizzazioni. Anche il calcio, come la vita, è fatto di alti e bassi, di gioie e dolori, di trionfi e cadute. Ma chi decide di tifare per una squadra, giurandole eterna fedeltà, si prende tutto il pacchetto senza possibilità di frammentarlo o separare i momenti esaltanti da quelli dolorosi.
Del resto non può esserci alcun rimpianto per chi, forte solo della sua sciarpa e della sua passione, non ha e non potrebbe avere colpe per il comportamento di dirigenti o calciatori, sui quali può soltanto, al più, esercitare una pressione psicologica indiretta attraverso il proprio sostegno o, eventualmente, le proprie contestazioni. Allo stesso modo, la piazza reagirà e si rialzerà anche dopo questa ennesima cocente delusione.
Sarà, però, necessario ricominciare tutto da zero. Le dimensioni del fallimento sportivo di questa stagione, partita addirittura con ambizioni di promozione, sono talmente abnormi che non possono essere considerate semplicemente frutto di qualche errore in fase di costruzione dell’organico o di qualche difetto nella gestione dello spogliatoio. Nascono a monte, da una strategia societaria costantemente votata al risparmio che, dopo il primo anno di Serie B, ha costretto ogni volta l’allenatore di turno ad accontentarsi di ciò che restava sugli “scaffali” a poche ore dalla chiusura del calciomercato.
Vivacchiare in questo modo in cadetteria può produrre qualche risultato positivo, ma quasi mai il raggiungimento di una promozione, se le cose girano per il verso giusto o gli errori vengono comunque corretti in tempo. Quando, invece, si incappa nella stagione storta, dove fattori interni ed esterni ruotano praticamente tutti contro, allora si rischia grosso. Ed è proprio quello che è successo al Perugia quest’anno. Senza giocatori di peso e personalità, soprattutto a centrocampo, la traiettoria discendente imboccata nelle ultime otto partite è diventata insanabile, tanto da impedire alla squadra di conquistare persino quel misero punticino in più che – numeri alla mano – ci avrebbe permesso di salvarci all’ultima di campionato, malgrado una stagione da dimenticare.
Ora in Lega Pro, una volta iscritto secondo i termini stabiliti, il Perugia dovrà necessariamente ripartire per vincere il campionato, ottenendo così la promozione diretta senza passare dai temibili nuovi playoff nazionali, cui prendono parte ben 28 compagini: 9 per girone più la vincitrice della Coppia Italia di categoria. La probabile composizione del prossimo torneo, che comincerà il 27 settembre, vede il Grifo quasi sicuramente destinato al girone B, in prevalenza caratterizzato da squadre del Nord e del Centro Italia. Si eviterebbero così le durissime trasferte sui campi caldi del Sud, ma ci si dovrebbe comunque confrontare con società ben attrezzate che da anni tentano il salto in cadetteria, come Piacenza, Triestina, Modena e Feralpisalò.
Considerando gli ultimi importanti ed autorevoli investimenti che hanno alzato, e anche di molto, il livello della terza serie (Berlusconi, De Laurentiis, Amadei ecc. …), al nuovo Perugia serviranno giocatori di spessore (anche di medio-bassa Serie B) ed una guida tecnica che conosca bene la categoria, circondata da collaboratori e dirigenti in grado di costruire un organico competitivo. C’è molto da investire (almeno 5-6 milioni di euro) e poco da chiacchierare. Ciò vale per questa dirigenza, così come per chiunque altro sia intenzionato a rilevare la società. La tifoseria che, ancora scottatissima, sta giustamente contestando chi ha determinato questa grave retrocessione, non accetterà nemmeno avventurieri o sciacalli dell’ultima ora, spesso attratti da questo tipo di situazioni.
L’ultimo post con cui Massimiliano Santopadre ha annunciato di voler andare avanti servirà a ben poco senza le garanzie di cui sopra. Citando, a due soli giorni da una dolorosa retrocessione, il compianto Franco D’Attoma, ed indirettamente tutti i grandi imprenditori perugini che sostennero quella gloriosa società negli anni Settanta (da Lino Spagnoli a Spartaco Ghini e Leonardo Servadio), il dirigente romano ha compiuto il suo ennesimo errore di comunicazione, innescando una reazione ancor più rabbiosa da parte dei tifosi.
Il percorso più confacente agli interessi del Perugia, e di Perugia, potrebbe riassumersi nell’idea di una transizione morbida – ben ponderata ma al contempo relativamente rapida – dalla gestione in carica, cui potrebbe spettare l’ormai imminente avvio di stagione con quel che resta di “buono” della precedente, ad una nuova, che avrebbe invece il compito di completare l’allestimento della rosa e proseguire il campionato. Altre strade non sembrano minimamente praticabili ed intestardirsi di fronte all’inevitabile non farà che peggiorare le cose. Errare humanum est, perseverare autem diabolicum.
Andrea Fais – Agenzia Stampa Italia