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Fabrizio Ravanelli, profeta non solo in patria

Scritto da il 02/04/2017

ravanelli

Fabrizio Ravanelli, profeta non solo in patria

di An.Fa.

Per la città di Perugia, Fabrizio Ravanelli è più di un semplice calciatore. è il testimone attivo di un’appartenenza al proprio territorio e alla sua capacita di generare talenti in svariati settori della società, non ultimo lo sport. Come il pugile Gianfranco Rosi, pluridecorato negli anni Ottanta, o il pallavolista Andrea Sartoretti, protagonista della generazione di fenomeni degli anni Novanta, Fabrizio Ravanelli, in arte Penna Bianca, ha confezionato una carriera di successi nazionali e internazionali raggiungendo, però, quel palcoscenico illuminato che il calcio, più di altre discipline, da sempre offre in Europa.

Non è un caso che l’evento dal titolo Ravanelli. Fenomeno DOP, presentato venerdì scorso presso il Museo del Perugia Calcio, inaugurato nel luglio del 2016, sia andato in scena dopo quelli dedicati al Perugia degli Imbattibili di Ilario Castagner, che sfiorò lo scudetto nel 1979, e al Perugia di Guido Mazzetti, che fece sognare il pubblico del vecchio Stadio Santa Giuliana nella seconda metà degli anni Sessanta. Come ha ricordato Carlo Giulietti, tra i promotori permanenti delle iniziative al Museo, Ravanelli, al di là delle magliette indossate, ha sempre rappresentato per la piazza un simbolo di peruginità grazie a gesti atletici, come la doppietta di Forlì e altre reti decisive nella promozione in C1 della stagione 1987-1988, che lo resero già all’epoca un campione agli occhi della città.

Il Perugia che lanciò Fabrizio Ravanelli nel calcio professionistico non oltrepassò mai la terza serie. Quelli compresi tra il 1986 e il 1989 furono anni non certo facili per la società biancorossa che, dopo aver sfiorato più volte il ritorno in serie A nelle stagioni precedenti, precipitò d’ufficio in C2. Eppure, come ricordato da molti durante la conferenza, quel periodo fu sicuramente uno tra i più intensi per la qualità tecnico-tattica del gruppo assemblato dal tecnico Mario Colautti, intervenuto al microfono durante la serata, e per la passione ritrovata dalla piazza, che ogni domenica spingeva molti tifosi a raggiungere perfino i campi più sperduti di quegli “infernali” gironi meridionali.

Ad affiancare Ravanelli in campo, allora, c’erano giovani promesse come Angelo Di Livio, Giovanni Bia e Roberto Rambaudi, che di lì a poco avrebbero vestito casacche importanti in serie A, ma anche Marco Gori ed i perugini DOC Graziano Vinti e Fabrizio Nofri, autore – quest’ultimo – di un indimenticato pareggio allo scadere nel derby casalingo di campionato contro la Ternana della stagione 1986-1987. Proprio Gori e Nofri, presenti in sala, hanno preso la parola per salutare il vecchio compagno di squadra, tutt’oggi amico, raccontando aneddoti di spogliatoio poco noti ai più di quel triennio pieno di soddisfazioni in casa biancorossa.

Fabrizio prende il volo

Fabrizio Ravanelli se ne va da Perugia agli sgoccioli degli anni Ottanta, forte di un curriculum già importantissimo, fatto di 90 presenze in campionato, 41 reti e del titolo di capocannoniere della serie C2 1987-1988. è l’Avellino a portarlo in serie B nell’estate del 1989, ma l’esperienza dura pochi mesi. Nel gennaio del 1990, infatti, la squadra irpina lo gira in prestito alla Casertana, nuovamente in C1, dove si ritroverà ad affrontare per la prima volta da avversario il Perugia alla 28a giornata.

Tornato ad Avellino nell’estate del 1990, la società decide ancora di non puntare su di lui e lo cede a titolo definitivo alla Reggiana, in serie B. Qui Fabrizio Ravanelli incontra Giuseppe Marchioro, un tecnico di grande esperienza che nella città emiliana aveva già aperto un ciclo poi coronato nel 1993, con la prima storica promozione in serie A. Nel lungo batti e ribatti di domande e risposte col giornalista Francesco Bircolotti, Ravanelli ha solo parole di stima e riconoscenza per quello che, assieme a Colautti e Lippi, considera uno dei suoi maestri di gioventù, ricordando la tripletta firmata nella gara d’esordio in maglia granata contro il Verona di Eugenio Fascetti, retrocesso dalla serie A nella stagione precedente. A Reggio Emilia si fermerà due anni, segnando 24 gol in 66 partite, incidendo su alcune delle sentite sfide straregionali con Modena e Bologna.

Il grande salto avviene nell’estate del 1992, quando la famiglia Agnelli decide di sborsare 3 miliardi delle vecchie lire per assicurarsi il talento dell’attaccante perugino. A Torino, tra campionato e coppe, in quattro stagioni Penna Bianca colleziona 160 presenze e 68 reti, di cui la più pesante resta indubbiamente quella segnata nella finale di Champions League 1995-1996 contro l’Ajax allo Stadio Olimpico di Roma, poi decisa ai rigori in favore della compagine di Marcello Lippi. I successi in maglia bianconera consacrano Ravanelli ai massimi livelli e lo lanciano in Nazionale, dove approda nel marzo 1995, debuttando a Salerno con una marcatura personale nel 4-1 che gli azzurri rifilano all’Estonia, in una gara valida per le qualificazioni all’Europeo del 1996.

La sua esperienza in Nazionale durò poco più di tre anni ma gli consentì di mettere a segno 8 reti totali, di cui due, in particolare, dal grande significato per Ravanelli: allo Stadio Renato Curi, dove segnò, davanti ai suoi conterranei, il gol-vittoria nell’1-0 ai danni della Georgia, valevole per le qualificazioni al Mondiale 1998, e allo Stadio Libero Liberati di Terni dove, a lungo fischiato e insultato dal pubblico di casa, si prese la soddisfazione di siglare una delle tre reti azzurre nell’amichevole con il Galles.

I successi all’estero e alla Lazio

«Affascinato dal calcio inglese», assaporato durante il Campionato Europeo, nell’estate del 1996 Fabrizio Ravanelli lascia Torino per trasferirsi al Middlesbrough, una «scelta di pancia» – spiega l’ex calciatore – che, con il senno di poi, probabilmente non rifarebbe. Eppure, tra Premier League, F.A. Cup e Coppa di Lega, il bomber perugino in Inghilterra macina 50 presenze, mettendo a segno 32 reti in poco più di una stagione. Nemmeno il tempo di godersi gli elogi e la stima della piazza d’Oltremanica, che nell’agosto 1997 Ravanelli firma per l’Olympique Marsiglia, dove ritroverà le competizioni europee (Coppa UEFA e Champions League) e resterà sino al gennaio del 2000 quando, per i problemi di salute del padre, sceglierà di tornare in Italia, non lontano da casa.

Nella Lazio stellare di Sven-Göran Eriksson, Fabrizio Ravanelli prende posto in quella che considera «la compagine più forte e competitiva» in cui abbia mai militato. «Ventotto giocatori in rosa che il mister poteva scegliere indistintamente» per quanto erano forti: Marchegiani, Nesta, Mihajlović, Fernando Couto, Verón, Stanković, Sérgio Conceição, Almeyda, Bokšić, Salas, Nedvěd, Simeone ed altri ancora facevano della società di Sergio Cragnotti una delle più attrezzate al mondo. Nonostante l’agguerrita concorrenza a Formello, tra campionato, Coppa Italia e Champions League, in una stagione e mezzo in maglia biancoceleste Ravanelli annovera 42 presenze, mettendo per 10 volte il pallone alle spalle del portiere avversario. Ancora oggi Penna Bianca è convinto che le vittorie dello scudetto, della Coppa Italia, della Supercoppa Italiana e della Supercoppa Europea «furono persino poco» rispetto alle potenzialità di quello squadrone.

L’anno successivo, con l’arrivo a Roma di Hernán Crespo e Claudio López, è sempre più difficile per Ravanelli trovare spazio in attacco. Nonostante giochi l’intera stagione tra gli aquilotti, le presenze in campionato saranno soltanto 11, riuscendo comunque ad incidere sui risultati anche in Champions League con 2 gol in 6 partite disputate. Così, Penna Bianca decide di oltrepassare nuovamente la Manica, firmando prima per il Derby County (2001-2003) e poi per il Dundee United (2003-2004). In uno dei più incredibili incroci del destino, Ravanelli viene presentato alla stampa scozzese il 25 settembre 2003, poche ore prima che al Tannadice Park di Dundee scendesse in campo il Perugia-rivelazione di Serse Cosmi, nel frattempo approdato in Coppa UEFA attraverso la vittoria estiva nella Coppa Intertoto. I biancorossi espugnarono il campo avversario con le reti di Di Loreto e Fusani, ed affascinato da un allenatore che «ha sempre fatto giocare molto bene le sue squadre», nel gennaio del 2004 non esitò ad accettare la «bellissima proposta» di Luciano e Alessandro Gaucci, firmando il contratto del suo ritorno a Perugia.

Il ritorno a Perugia

Tornato a casa da campione pienamente affermato, Ravanelli e gli altri importanti acquisti di quel calcio mercato invernale non riuscirono a sortire gli effetti sperati. Il 24 gennaio, Penna Bianca segnò subito al debutto con una splendida punizione nel catino di Siena, in una sfida tradizionalmente molto sentita e non solo per motivi calcistici, ma ribaltata dai padroni di casa negli ultimi minuti di gara. Nonostante le sue 6 reti nel girone di ritorno e la significativa rimonta della compagine di Cosmi, lo spareggio con la Fiorentina sancì la retrocessione dei grifoni dopo sei stagioni consecutive di serie A.

Il campionato 2004-2005 non mancò di riservare grandi soddisfazioni alla tifoseria e allo stesso Fabrizio, che si è sempre considerato «testimone di peruginità» anche nei campi di gioco internazionali. La doppia vittoria, andata e ritorno, nei due derby con la Ternana e l’Arezzo sono ancora oggi tra i ricordi più belli nella lunga storia del Perugia. L’esultanza a fine partita di Fabrizio Ravanelli, intento ad esibire il tatuaggio del Grifo sul terreno del Liberati dopo lo 0-2 firmato da Ferreira Pinto e Jaroslav Šedivec, è senz’altro il particolare di quella stagione che chiunque, giovane o meno giovane, ricorda con più gioia.

Il pubblico in sala, visibilmente emozionato dalle immagini anche quando proiettavano Ravanelli con indosso altre maglie, non ha potuto fare a meno di applaudire spontaneamente i passaggi più significativi delle parole di un giocatore che ha dimostrato le sue doti in serie C e in serie A, in serie B e in Champions League, in Italia e all’estero, creando sempre una «sintonia particolare con tutte le tifoserie» delle squadre in cui ha giocato.

Il legame con Perugia e col Perugia è ovviamente indissolubile, come ha più volte sottolineato Fabrizio Ravanelli nel corso della conferenza, confortato da immagini di repertorio che non lasciano dubbi sulla grinta e sulla determinazione di un uomo straordinario in campo e fuori dal campo, le cui gesta vanno ad occupare uno spazio di primissimo piano nelle teche del Museo, che proprio da venerdì scorso può vantare la maglietta originale di Angelo Montenovo, storico centravanti, nella stagione 1966-1967, un indumento di cinquant’anni fa presentato in chiusura di conferenza da Claudio Giulietti, una delle figure più attive nell’organizzazione dell’esposizione. Il valore di un museo non è semplicemente conservare oggetti ma mantenere costantemente vivi i sentimenti e le motivazioni che essi sprigionano. Gli eventi organizzati, sempre affollati da tifosi di ogni età, ne sono la dimostrazione più evidente.

An. Fa

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