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Perugia calcio. Carlo Giulietti: “Il nostro museo è un simbolo di passione e valori”

Scritto da il 30/11/2016

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(ASI) Inaugurato quest’estate, esattamente il 7 luglio, nei locali a piano terra della nuova sede societaria, proprio dietro la Gradinata (Tribuna Est) dello Stadio Renato Curi, giovedì scorso il Museo Storico del Perugia Calcio ha ospitato, tra i ricordi e la commozione dei presenti, una conferenza dedicata agli “Imbattibili”, cioè al Perugia della stagione 1978-1979, arrivato secondo in classifica dietro al Milan ma passato alla storia del calcio italiano quale prima società in assoluto ad aver concluso un campionato di Serie A a girone unico senza aver mai perso una sola partita. Per l’occasione sono intervenuti alcuni tra i principali protagonisti di quella formidabile squadra di provincia che stupì l’Italia: l’allenatore Ilario Castagner, il calciatore Pierluigi Frosio e l’amministratore delegato Francesco Paolo Sclafani, mentre il direttore sportivo Silvano Ramaccioni, poi affermatosi nella dirigenza del Milan “pigliatutto” di Silvio Berlusconi, è intervenuto in diretta telefonica. Tra gli altri protagonisti dell’epoca, erano presenti inoltre i calciatori Franco Vannini, Nello Malizia e Michele Nappi, il massaggiatore Renzo Luchini, la Signora Maria Grazia, moglie del compianto Antonio Ceccarini, l’Avv. Giampiero Molinari, vice-allenatore, e lo storico segretario Ilvano Ercoli.

La realizzazione del Museo del Perugia Calcio è senz’altro lodevole opera della società e del presidente Massimiliano Santopadre, coadiuvato per l’occasione da Marco Santoboni, Giorgia Mastrini e dallo stesso Ilvano Ercoli, dimostratisi attenti alla valorizzazione di un marchio percepito in senso non soltanto aziendale ma anche sociale e culturale. Tuttavia, dietro le quinte, è stato il certosino lavoro di ricostruzione e raccolta portato avanti, a nome del Comitato dei tifosi, dai fratelli Carlo e Claudio Giulietti, noti in città per la passione e la sensibilità archivistica, ad aver arricchito l’esposizione con una serie di veri e propri reperti storici tra ritagli di giornali e riviste, maglie, sciarpe, documenti, abbonamenti, azioni societarie, coppe, medaglie e tanto altro ancora. Per saperne di più, abbiamo raggiunto proprio Carlo Giulietti, direttore responsabile del periodico “Vecchia Guardia”, presente da venticinque anni in formato a colori sugli spalti del Renato Curi.

Benvenuto Carlo. Partiamo dall’evento di giovedì scorso, dedicato agli Imbattibili del 1978-1979. Com’è andata la serata e quali sono stati i momenti più emozionanti?

La serata è andata molto bene. La sala principale era colma al punto che diverse persone hanno dovuto seguire la conferenza dagli schermi predisposti nelle stanze adiacenti. L’evento è stato trasmesso in diretta su Facebook, registrando diverse centinaia di spettatori telematici, di cui alcuni anche dall’estero. L’offerta era di alto livello, sia per i personaggi presenti che per la qualità degli interventi che hanno caratterizzato la prima parte dell’incontro. Nella seconda parte, invece, abbiamo proposto alcuni contributi video, commentati dai protagonisti. Nella parte conclusiva, infine, siamo andati a braccio, con qualche scambio di considerazioni tra i relatori e il pubblico.

Non c’è stato tempo per affrontare in modo dettagliato i temi tecnico-tattici di quella squadra, tuttavia Ilario Castagner ha affermato che, come ritengo anche io, gli infortuni di Pierluigi Frosio e Franco Vannini, occorsi durante quella stagione, hanno scombussolato i piani. In quella formazione, Vannini era già un allenatore in campo, che dettava i tempi e faceva da cinghia di connessione tra l’allenatore e il resto della squadra. Frosio, dal canto suo, era uno dei liberi più forti del campionato. Insomma, i rimpianti per lo scudetto perso sono molti ma col senno del poi tutto appare fin troppo facile e chiaro. Ad esempio, diversi tifosi ricordano criticamente l’atteggiamento abulico di Salvatore Bagni nello scontro diretto con il Milan, ma dimenticano i punti persi col Verona tra andata e ritorno, dove ottenemmo solo due pareggi. Insomma, c’è davvero poco da rimpiangere. Per noi fu comunque una stagione irripetibile.

Tra i momenti più intensi, senz’altro c’è stata la proiezione dei video dell’epoca. Per noi che vivemmo quelle partite dagli spalti dello stadio, rivederle sullo schermo è sempre emozionante, non solo per il fatto calcistico in sé ma anche per i ricordi personali, per le proverbiali immagini che ti passano davanti agli occhi, associate ad altre. Insomma, per tutto quello che era legato alla partita e alla nostra passione. Fra le situazioni che ricordo meglio di quella stagione, come scrivemmo in un “Vecchia Guardia” di diversi anni fa, c’è il quadro dei pronostici formulati dai giornalisti locali e nazionali ad inizio stagione. Molti sostenevano che la partenza di Walter Alfredo Novellino, ceduto al Milan, avrebbe causato grossi problemi tattici e che, dunque, la squadra difficilmente sarebbe arrivata tra le prime dieci in classifica. A metà campionato, invece, tutto era cambiato. Addirittura, Gianni Brera scrisse che a Perugia si praticava il miglior calcio italiano del tempo e che Bagni non aveva nulla da invidiare ad altri campioni più famosi. Gianfranco Casarsa era sempre primo nelle classifiche di rendimento per ruolo stilate dal Guerin Sportivo. Lo stesso Frosio, nato come stopper e reinventato libero da Ilario Castagner, era uno dei giocatori più forti in circolazione nel suo ruolo. Usciva a testa alta, con disimpegni puliti e di grande classe, spingeva, guidava la difesa ed era un capitano in tutti i sensi. Non era di certo inferiore a campioni con caratteristiche tattiche simili come Gaetano Scirea e Franco Baresi. Il fatto di giocare in una provinciale, e non nella Juve o nel Milan, purtroppo gli impedì di arrivare in Nazionale.

Chi, come i ragazzi della vostra generazione, ha vissuto quella stagione dai gradoni dello Stadio Renato Curi ne conserva ovviamente un ricordo particolare. Quale atmosfera si respirava in città in quei mesi?

L’atmosfera lasciava percepire un feeling intenso e profondissimo tra la città e la squadra. Basti pensare che alcuni giocatori venivano addirittura invitati ai matrimoni, alle comunioni, a cena o a pranzo da diversi tifosi, nel frattempo diventati loro veri e propri amici. L’unico screzio nacque con Bagni, a cui non pochi rinfacciavano le scappatelle amorose e l’atteggiamento un po’ sopra le righe. Al di là di questo, però, i giocatori si sentivano tutt’uno con la città ed erano molto legati fra loro. Durante i ritiri della squadra, seguitissima dagli appassionati anche tra le vallate e le montagne delle località scelte per la preparazione estiva, si scherzava e si rideva. Lo spogliatoio era unitissimo. Ilario Castagner, poi, era visto dalla squadra non solo come un allenatore ma anche come una specie di fratello maggiore, per via della sua giovane età.

La pressione esercitata attorno alla squadra era costruttiva e si trasformava in qualcosa di positivo e benefico. Come è stato sottolineato durante la conferenza, allora c’era un approccio diverso nel rapporto tra i giocatori e la piazza, ovvio riflesso di un’epoca molto differente da quella attuale. Addirittura, per alcuni di loro l’ambiente di Perugia fu rigenerante. Casarsa e Speggiorin, per esempio, arrivarono a Perugia con la nomea di “scartati” da piazze più importanti come Firenze e Napoli. Grazie a Castagner e all’ambiente, riuscirono ad inserirsi in un meccanismo talmente oliato, che chiunque giocasse, a patto di impegnarsi, faceva la sua bella figura.

Praticamente, quasi tutto ciò che è presente nelle teche del museo proviene dai vostri archivi storici privati e dai cassetti o dalle soffitte dei tanti tifosi che hanno deciso di “sacrificare” un pezzetto dei loro ricordi di gioventù per donarlo al progetto. Quanto materiale avete raccolto e quanto pensate di raccoglierne ancora?

Alla vigilia dell’inaugurazione, abbiamo chiesto ai tifosi di donarci quegli oggetti che per anni avevano riposto nei garage, nelle soffitte o negli armadi. Primo, perché tenendoli in casa non potrebbe ammirarli nessuno. Secondo, perché di fronte a certe situazioni di deperimento, ci siamo resi conto che senza un’adeguata conservazione il materiale, anche se chiuso in un cassetto o in un armadio, rischia di andare distrutto. Quindi il nostro ruolo è stato quello di recuperare e salvare il materiale ancora rimasto. Grazie alle particolari teche e alla temperatura ambiente delle stanze del Museo, anche maglie di cinquanta anni fa possono essere conservate al meglio e restare intatte.

Al nostro lavoro, oltre ad altri amici che colgo l’occasione per ringraziare, si affianca quello di Massimo Calzoni, responsabile per l’archivio del materiale video. Anche in questo caso, è necessario raccogliere i contributi con cura, classificarli e trasformare i diversi supporti VHS o di altro tipo in digitale, salvaguardandone la qualità. Insomma, è un lavoro molto impegnativo e quasi unico in Italia, per realizzare un’opera che è stata in grado di suscitare unanime ammirazione. Abbiamo saputo che nel nostro Paese ci sono soltanto altri due musei storici interattivi, cioè quelli del Genoa e del Torino. Ha un proprio museo anche la Juventus, ma non si incanala in un percorso storico guidato e multimediale, è solo un’esposizione di trofei e foto.

Quasi tutti i giorni ci contattano persone che ci offrono spontaneamente gli oggetti di cui sono in possesso. Di recente, un signore ci ha portato alcune fotografie dei festeggiamenti per la prima promozione in Serie A del 1974-1975. Personalmente ho vissuto dieci promozioni ed è rimasta ancora intatta la tradizione di festeggiare in centro storico. Ogni festa-promozione ha avuto un fascino peculiare ed in particolare quelle di allora, dove ogni quartiere della città e ogni realtà locale del comprensorio esponeva un suo striscione caratteristico, rigorosamente in dialetto perugino. Con quella promozione, poi, nacquero i primi club organizzati, capaci di mettere in piedi trasferte oceaniche come quella di Firenze, con 8.000 tifosi al seguito, o quella di Milano, con 5.000. Dunque, c’è ancora tantissimo materiale da ripescare. Anche per questo, siamo alla ricerca di esperti e appassionati che possano darci una mano per catalogare e archiviare il patrimonio storico che si va via via componendo.

Sebbene limitato alla dimensione sportiva, il museo ha un valore storico oggettivo. Attraverso l’illustrazione dell’epopea calcistica, racconta infatti oltre un secolo di storia della città, incrociando sul suo cammino aneddoti di vita quotidiana, fenomeni sociali e storie imprenditoriali immortalati da foto d’epoca, racconti e sponsorizzazioni. Quali sono le vicende e i nomi più importanti emersi? Credete sia possibile integrare le attività del museo con altri progetti finalizzati riscoperta del patrimonio storico locale?

Al di là del fatto che ci sono migliaia di vecchie fotografie già acquisite ma ancora da scannerizzare, dovremmo cercare di organizzare eventi ancora più mirati al fine di suddividerle e presentarle per argomenti, onde evitare di essere troppo dispersivi. Lo stesso vale per i filmati, che in buona parte vanno ancora sistemati. Ovviamente si tratta di contributi dal valore storico, oltre che calcistico, immenso. Per quanto riguarda il primo periodo, cioè quello compreso tra il 1890 – anno della costituzione della Società Sportiva Braccio Fortebraccio – ed il 1945, ci sono immagini che ritraggono la nostra città in un profilo urbanistico molto diverso e che stuzzicano la passione di architetti, ingegneri o semplici appassionati di materiale d’epoca. Tra le più datate, ci sono immagini delle operazioni per lo sterro dello Stadio Santa Giuliana, inaugurato nel 1938. Proprio a questo proposito, ci sarebbe la formidabile opportunità di acquisire filmati rarissimi che documentano proprio quella giornata. Ci stiamo lavorando.

Tutti questi contributi hanno un valore che – come dicevo – travalica l’aspetto sportivo e consentono al visitatore di ammirare la città com’era un secolo o cinquanta anni fa. Gli stessi striscioni dei vecchi gruppi organizzati raccontano la storia dei quartieri o dei bar del tempo e richiamano alla mente tanti ricordi. In alcune foto del Santa Giuliana, compaiono cartelloni pubblicitari di aziende che per decenni hanno portato il nome di Perugia nel mondo, come le Officine Piccini, comparse allo stadio anche nella stagione 1966-1967, culminata con la promozione in serie B, e presente ancora oggi sulle divise della squadra, per non parlare poi delle magliette storiche, che hanno recato per mesi o per anni celebri marchi industriali del nostro comprensorio, come il pastificio Ponte, primo sponsor tecnico a carattere pubblicitario nella storia del calcio, la Perugina, la Ellesse, le Cementerie Barbetti e tanti altri ancora.

Dopo questa prima iniziativa dedicata agli Imbattibili del 1978-1979, ce ne sono altre in programma?

Ce ne sono molte altre in cantiere. Tuttavia, la preparazione di ogni evento richiede un preciso lavoro di ricostruzione e recupero del materiale da proporre. C’è anche in progetto di preparare momenti interattivi per i più piccoli, che attraverso le immagini e gli aneddoti del passato potrebbero appassionarsi ai colori biancorossi. Iniziative del genere sono piuttosto rare in Italia e questo dimostra che a Perugia c’è una vivacità notevole. L’obiettivo è quello di allargare queste conoscenze alle nuove generazioni per cercare di far capire che non si può essere tifosi solo nei momenti di successo, ma è fondamentale restarlo sempre, al di là della categoria. Il calcio diventa così più di un semplice sport, e cioè la rappresentazione di valori e passioni che hanno stimolato anche il nostro lavoro di allestimento e gestione del museo.

A cura della Redazione TifoGrifo

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