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Una partita (quasi) come le altre

Scritto da il 19/11/2014

Bisbylandia

 

Tel Aviv: derby Maccabi- Hapoel. Tafferugli, partita sospesa. 15 giorni fa.
Boca Juniors- River Plate: una sfida che divide la gente, roba che nemmeno la politica.
Il derby di Roma, che segna carriere e dà l’immortalità, in un modo o nell’altro, ad un Amantino Mancini, Castroman o a Negro ed il suo autogol.
Glasgow, e la religione, vera: dei biancoverdi cattolici del Celtic o dei blu protestanti dei Rangers. Per dirne alcuni.

Tutte squadre delle stesse città, tutta gente che vive assieme durante la settimana ed in trincee opposte la domenica, o ogni fottuto giorno che si giochi. Per chi non ha il nemico in casa, di solito la partita più sentita è quella col “vicino”. Perugia e … beh, quelli di sotto. Se non altro, tra Perugia e Terni, c’è un’ora di distanza, ed a far da cuscinetto Ponte San Giovanni, Balanzano, Montebello, Torgiano- San Martino in Campo, Pontenuovo, Deruta, Ripabianca- Foligno, Collazzone, Marsciano, Pantalla, Fratta Todina- Montecastello Vibio, Casalini, Todi- Orvieto, Colvalenza, Massa Martana, Acquasparta, Montecastrilli- Avigliano Umbro, Sangemini, svincolo, Terni. Un’oretta di distanza di sicurezza, una cintura di paesi a separare la città del cioccolato dalla città dell’acciaio. Piazza del Bacio e il monumento alla pressa. Un’oretta che, se proprio non è indispensabile andar giù, ti dà il tempo di rigirare e tornare a Perugia.

Paesi di mille campanili, ad ogni latitudine c’è il tifoso che guarda il risultato dei rivali prima di tutto il resto, per un bel godimento in caso di sconfitta del nemico. Brian Clough ha passato una vita a guardare lo sporco Leeds di Don Revie rendergli difficile la strada verso l’immortalità. Nemmeno uno scudetto al Derby County, il povero Derby preso dal fondo della seconda divisione, lo rese immune da questa sindrome di continuo confronto. Maniacale, tanto da dare origine a “Il maledetto United”, un libro (ed un film) di culto in cui i corridoi, le stanze, i sottopassaggi rendono l’idea di una claustrofobia mentale, del come non si riesca a tirarsi fuori da una ossessione. Derby County, o derby continuo. Il derby è ossessione per il calcio (e se leggete questo pezzo un po’ ossessi, come me, di sicuro lo siete) sublimata allo stato di sadistica perversione. Non ci sarebbe necessità di confrontarsi con la ternana, ma in pochi riescono a ritenere la sfida con loro “una partita come le altre”. Ci sono i cugini che vengono a giocare a casa TUA, sul TUO campo, davanti alle TUE sciarpe, alle TUE bandiere. Davanti a TE.

Il calcio è questo, e se per un mese, divorato dal lavoro, devo saltare una rubrica poi viene prurito alle dita, necessità di sparare le mie impressioni in vista del derby. Del derby, non della trasferta di Varese, e non so se sia un caso, se quell’ora libera nasce in coincidenza della settimana del derby o viene A CAUSA del derby. Scrivo e basta, il resto cercherò di scoprirlo col mio analista, quando ne avrò uno, ma in cuor mio la risposta credo di saperla, anche se il fatto che la partita sia sentita non toglie che io la penso, essenzialmente, come Zdenek Zeman.

Ecco, Zeman, maestro del pensiero contro, fu chiaro: il derby è una partita come un’altra. Secco, anche con un sorrisino sarcastico per rendere ai benpensanti la frase più secca ed urticante. Vai a dargli torto: sempre 3 punti vale. Ma vai a dirla a Roma, una cosa così. Seguirono, infatti, poche approvazioni e molte critiche. Il derby è diverso, il derby è tutto, gli dissero e dicono ancora.

Per me no. Io concordo al 100% con Zeman. Il derby può diventare una partita diversa dalle altre se non hai altro da chiedere alla stagione. Il derby diventa importante quando non hai meglio da fare. Un’arma di distrazione di massa. Roba da sfigati. La supremazia sull’arcinemico è qualcosa, rispetto al niente, ma è nulla rispetto ad obiettivi più elevati. Nemmeno alti: medi. Ok, se devo scegliere tra terminare undicesimo o dodicesimo in classifica tanto vale che mi prenda la gioia effimera di una supremazia momentanea su di una rivale che, a dirla tutta, ritengo inferiore, ma non è una scelta che si possa fare, non è una possibilità a cui posso accedere. Oggi non so come sarà il finale della mia annata, tantomeno nella lunatica Serie B, figurarsi. Il derby come il mantenimento di uno status quo: io sono meglio di te e te lo ricordo. Il derby, per noi biancorossi, come conferma di supremazia: tutto da perdere, in fondo. Non li invidio i giocatori che hanno a che fare con noi tifosi, con noi che chiederemo, bava alla bocca, l’annientamento dell’avversario, davanti ai nostri occhi, dentro la nostra tana, l’umiliazione di vedere camminare a testa china gli avversari vestiti con quei due colori che tra loro sbattono così tanto (sono i colori delle bocce, infatti) o col completo da trasferta, quello che sembra una tenuta da caccia venuta male. Ecco, nel caso si ricordassero che qui farebbero le prede, i rossoverdi.

Vorremo essere, sabato, immediatamente avanti nel punteggio per ribadire la nostra superiorità sugli avversari storici, saremo a gridare come sempre, eppure il calcio non funziona così, a giocarlo la testa conta quanto e più di tutto il resto. Servono parti strani, amplessi complessi per originare gioie. Sprocati, classe ’93 che avrà cominciato a seguire il calcio quando il Grifo era già relegato in Serie C, si beccò critiche tremende la scorsa estate per aver detto che non conosceva la storia calcistica di Perugia. Qualche mese dopo ha scritto una pagina che rimarrà negli annali: il gol di Ascoli fu una gioia selvaggia, e conferma che certe emozioni possono venire fuori ad ogni momento, basta poco per terremotare la storia calcistica di una città che quasi non conoscevi, quanto un derby, più di un derby. Mille volte più di un “banale” derby.
Terremotare la storia, quasi a tua insaputa.

E questa per me è la Storia con la maiuscola. Non una partita contro i rossoverdi che viene all’interno di un campionato ancora in ritardo nel mostrare la sua reale fisionomia: la partita di sabato sarà uno dei 42 match che determineranno la classifica, anche se magari a posteriori avrà avuto anche altri effetti (la vittoria col Bologna all’esordio ha prodotto effetti positivi anche nelle successive giornate, la sconfitta de La Spezia è costata più dei 3 punti lasciati in terra ligure, avendo condizionato anche alcune gare successive). Ma non è, il derby, una partita che ti darà automaticamente qualcosa di più dei 3 punti.

Quello di sabato non sarà un derby di fine stagione, uno di quelli che “non c’è rimasto altro, vinciamo questo e i tifosi ci perdoneranno tutto”. Sarà una partita come altre che molti di noi caricheranno con l’aspettativa che si ha per le gare tra Perugia e Ternana. Un po’ tradizione, un po’ marketing, un po’ folklore, un po’ perché fa figo, alla fin fine un po’ modo di stare insieme, perché anch’io andrò allo stadio in largo anticipo (sul mio solito anticipo) per fare due chiacchiere e stare in compagnia.

Il derby è attesa tremenda che sfocia spesso in pareggi o gioco sottotono. Troppo rischioso perderlo, troppo rischioso a volte vincerlo. Il derby è di chi lo gioca coi nervi distesi e saldi, come fosse una partita normale. La vittoria in un derby assume la sua vera valenza quando puoi guardare le facce sfatte degli sconfitti, e ghignare perché non tocca a te questa tristezza e ciò che ne consegue. Ma io nemmeno ricordavo quale fosse stato il risultato dell’ultimo derby, mentre ancora mi girano parecchio per lo stupido pareggio incassato sul finale di gara a Varese ed i due punti persi. La realtà è che ciò che è importante è l’oggi e le partite che hanno prodotto ciò che siamo, e per ricostruire la mia identità negli ultimi 10 anni piuttosto che ai derby degli ultimi due lustri (in realtà di memorabile ricordo quelli dell’anno di Colantuono, nel 2004-05, che furono match importanti all’interno di un campionato davvero incredibile, tessere di un puzzle da applausi) penso ad altre partite, come quelle di Lecce ed Ascoli, ed il 4 maggio col Frosinone, per citare quelle più vicine.

Il derby come oppio dei popoli, occasione di effimera gloria. No, non ora. Non quando il Grifo ha altro da fare. Sabato sarà una di quelle domeniche (perdonatemi, a scrivere sabato mi sembra sempre strano) da giocare con la testa e, per alcuni, con più grinta (Perea, dico a te…). Ma sarà una gara come tutte le altre, da giocare come se davanti avessimo una squadra normale. Perché questa è la compagine nostra avversaria. Una squadra normale, che sta sotto di noi in classifica. E quindi, normalmente, avanti ragazzi, per noi, la nostra gente ed il nostro futuro!

Ci vediamo allo stadio… Forza Grifo!

 

Federico Basigli

Scritto da
il 19/11/2014.
Registrato sotto PERUGIA CALCIO, Primo Piano.

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