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Un tuffo nella memoria del Grifo. Fabiàn O’Neill, “el mago”, che col calcio si è divertito ed esaltato, senza mai chiedere comprensione.

Scritto da il 27/03/2018

 

Paso de los Toros, ottobre 1980. La giornata calda, soleggiata, è comunque temperata dalla brezza.

Un gruppo di ragazzini, di circa quindici anni, si diverte con un pallone di stoffa, cucito a mano da una giovane madre volenterosa.

Il numero è dispari, per giocare ne manca uno, c’è solo Fabiàn, il più piccoletto, di sette anni.

“E’ troppo piccolo”, – pensano gli altri,- “non è in grado di giocare con noi”.

Fabiàn, di origini irlandesi, si allaccia le scarpette, accarezza dolcemente il pallone di stoffa, rivolge lo sguardo al più grande. La sfida è lanciata, è tardi per tirarsi indietro.

Uno, due, tre dribbling, avversari saltati come birilli, poi lascia partire un tiro secco, potente, con il pallone che si infila nell’angolo basso di una porta occasionale, costruita con due piccoli rami. Per il portiere non c’è scampo.

Neanche lo vede, resta lì impalato, con un mucchio di polvere che gli copre il volto.

Mi chiamo Fabiàn O’Neill, ho sette anni e un sogno nel cassetto: diventare calciatore.

Cagliari, novembre 1995. I commenti si sprecano. Due tifosi seduti al tavolino di un bar, si lasciano possedere dall’esaltazione che, forse, da queste parti,  manca dai tempi di Gigi Riva.

 Abbiamo preso un fenomeno, un genio, uno che con i piedi, è bravo quanto Zola.

O’Neill è un genio per davvero, con la 10 sulle spalle incanta il popolo rossoblù. Giocate tali che spingeranno Ventura a sbilanciarsi, e a definirlo come il calciatore più forte mai allenato.

Ma il genio, proprio come diceva Abramo Lincoln, disdegna le strade battute e cerca regioni ancora inesplorate. Forse perché le strade battute appartengono all’uomo comune, e la retta via, per un genio, può diventare terribilmente monotona.

Ecco allora che al compagno saggio, ad una vita sana, Fabiàn il genio, o meglio “ el mago”, come lo chiamano a Cagliari, preferisce la sregolatezza. E l’alcool, nel quale fuggire forse, da una celata malinconia.

Dopotutto fu Aristotele, e non uno qualunque, ad affermare che la malinconia è condivisa da tutti gli uomini di genio.

I  tifosi lo adorano, per loro Fabiàn “el mago” è colui che, attraverso i piedi educati, capaci di disegnare dribbling e serpentine, dà vita ai loro sogni.

Va tutto bene a Cagliari, almeno fino al 1997, quando i rossoblù, dopo uno spareggio drammatico contro il Piacenza, retrocedono in serie B.

“Ubriacone”, gli urla un gruppo di tifosi, gli stessi che un anno dopo, a promozione ottenuta, faranno a gara per offrirgli da bere. E’ strano il calcio, ma ancor più strana è la vita.

O’Neill, “el mago”, Fabiàn, per gli amici, non vuole comprensione, meglio accettare quel bicchiere di vino, tanto i miei demoni sono miei e basta.

Torino, estate 2000. Diciotto miliardi, una cifra importante per un calciatore importante. Nella Juventus dei Del Piero, dei Zidane, ma anche dei Montero e Fonseca, c’è spazio anche per Fabian O’Neill.

Un matrimonio che sembra destinato a funzionare, e  come potrebbe essere diversamente, O’Neill, – se qualcuno lo avesse dimenticato, – è “el mago”, e nella città magica per eccellenza, che una leggenda vuole fondata da Fetonte, figlio di Iside, dea della magia, dove quella bianca si unisce con quella nera,  anche cromaticamente sulle maglie della squadra, c’è spazio per i suoi colpi di genio.

O meglio, ci sarebbe, il condizionale è d’obbligo, perché la vita, come recita una celebre canzone di Vasco Rossi, continua ad essere spericolata, di quelle che passi il tempo con Bacco e Venere, e ti addormenti non a casa, ma su un bancone di un bar. Troppo lontana da quella che deve vivere un professionista, e alla Juventus, se vuoi vincere e, soprattutto convincere, devi essere un professionista dentro e fuori dal campo. O’Neill si congederà da Torino dopo soli due anni, 14 misere presenze, tanti rimpianti e nessuna magia.

Perugia, marzo 2002. Luciano Gaucci,  presidente del Perugia, decide di rimpiazzare Fabio Liverani, da poco ceduto alla Lazio, con Fabiàn O’Neill, “el mago”, preso dalla Juventus.

L’ultima magia in Italia, Fabiàn decide di regalarla contro il Torino, la squadra granata, negli ultimi anni, acerrima rivale dei grifoni perugini.

Fattori, difensore più che roccioso, uno che non va tanto per il sottile, atterra Vryzas, punizione dal limite. La distanza è importante, circa quattro metri dalla lunetta che delimita l’area di rigore.

O’Neill prende il pallone, lo accarezza dolcemente, proprio come aveva fatto ventidue anni prima con quel pallone di stoffa, così amorevolmente cucito da quella giovane mamma.

Sorride, poi alza lo sguardo e lo rivolge verso Bucci. La sfida è lanciata, è tardi per tirarsi indietro.

L’arbitro fischia, uno, due, tre passi, colpisce il pallone col suo destro fatato, e per Bucci, che la sfera  non la vede nemmeno, non c’è scampo. Il pallone smette di roteare dopo essersi insaccato alla destra del numero uno granata. La magia è fatta, un gol di quelli che non scordi più.

Si chiama Fabiàn O’Neill, “el mago”, e la sua vita l’ha vissuta proprio come la canzone di Vasco Rossidi quelle che non dormi mai, che te ne freghi di tutto.

A modo suo è stato un genio, e le sue giocate hanno fatto sognare tantissimi tifosi. Lo ha fatto divertendosi ed esaltandosi, senza mai chiedere comprensione per le sue debolezze, perché come scriveva Ennio Flaiano, “il peggio che può capitare a un genio è di essere compreso”.

Raffaele Garinella- Tifogrifo.com

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il 27/03/2018.
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