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La maglia numero 33 sulle spalle, ma Jaime Iván Kaviedes, è per tutti “Nine”. La storia di un talento puro, mai definitivamente sbocciato.

Scritto da il 12/03/2018
In tanti ricorderanno Jaime Iván Kaviedes, attaccante ecuadoriano, giunto in Italia durante il mercato di riparazione della stagione 1998/99. Kaviedes ha vissuto un’infanzia tutt’altro che semplice. A sei anni, per colpa di un fato crudele che assume le sembianze di un incidente stradale, perde entrambi i genitori. Jaime si trasferisce da alcuni zii, con lo zainetto con dentro un fedele pallone e una malinconia crescente. Un vuoto nell’anima, che solo le partite giocate sullo sterrato riescono ad attenuare. Ma il fato, che a volte è crudele, in altre circostanze sa anche essere giusto, e decide di riconoscere un’occasione a questo talento puro. Jaime la sfrutta al meglio. Siamo nel ‘98, e con la maglia dell’Emelec, squadra di Santiago de Guayaquil, realizza 43 reti in 34 partite. Il numero 9 sulle spalle, il fiuto del gol degno dei più grandi e la tecnica sopraffina, lo portano alla ribalta internazionale. Passa un treno, di quelli unici, da “una sola volta nella vita”, e la fermata è a Perugia. Luciano Gaucci, grande esperto di calcio, se ne innamora. La numero 9 non è disponibile, e così Jaime prende la 33, ma al posto del cognome, si fa ricamare il numero prediletto “Nine”, in inglese, sulle spalle. L’inizio è promettente, un gol alla Juventus nella sconfitta per 2-1, altre due bellissime reti, un tiro al volo da fuori area contro la Sampdoria e un gol di rapina contro l’Inter, illudono il popolo biancorosso. Nonostante l’affetto di Perugia, Jaime non riesce a liberarsi di alcuni fantasmi della mente. La tecnica è eccelsa, la testa segue un carattere ribelle, difficile, tormentato. La sua ultima gara con la maglia del Grifo sarà condita da una storica salvezza, nel giorno in cui, proprio al Curi, il Milan diventa campione d’Italia. È una sconfitta innocua, perché la Salernitana, avversario diretto per la salvezza, non riesce a superare il Piacenza. Com’è strano il destino, perché è proprio il Piacenza, che due anni prima aveva condannato il Grifo alla B, a consentire al Perugia di salvarsi. Quattordici presenze e quattro reti sono poche per guadagnarsi la riconferma e così “Nine”,  nel frattempo diventato “Inseminator” per alcune vicende amorose, se ne va in Spagna, al Celta Vigo. In Galizia, come a Perugia, Kaviedes non rende secondo le attese. Zaino sempre in spalla, pallone chiuso dentro, malinconia solita compagna di vita, e via, si torna a casa, in Ecuador. In Patria “Nine” è un idolo. Grazie ad una sua rete, la Selección centra la qualificazione ai mondiali in Corea e Giappone. In carriera segnerà 157 reti in 286 partite. Ma il tormento e la malinconia sono sempre lì, in agguato, l’angoscia è crescente, e Jaime conosce le droghe, diventandone schiavo. A rotolare non è più un pallone, ma la vita, che scorre via, un eccesso dopo l’altro. Fino alla disintossicazione, avvenuta nel 2016, grazie ad ricovero in ospedale. La tentazione, quella non se ne andrà facilmente, quel vuoto da colmare difficilmente si chiuderà, allora, caro Jaime, meglio conviverci, in pace. E se caso mai, la malinconia dovesse tornare a bussare alla tua porta, non aprire, esci dalla finestra, e, senza farti scoprire, corri via, con lo zaino ed il pallone. E la maglia numero nove sulle spalle. O meglio, “Nine”.
Raffaele Garinella-TifoGrifo.com
Scritto da
il 12/03/2018.
Registrato sotto PERUGIA CALCIO, Primo Piano, Un tuffo nella memoria del Grifo.

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