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Un tuffo nella memoria del Grifo – il 21 giugno ‘98, un giorno indimenticabile

Scritto da il 08/04/2018

 

Il 21 giugno del ’98 il palo colpito da Dorigo emise un suono tanto stonato per i tifosi granata, quanto melodico per quelli biancorossi.

Vinse il Perugia e lo fece indossando una maglia rossa con un grifone sul cuore.

 

Reggio Emilia, 21 giugno 1998

 

Si guardarono negli occhi, il capitano incitò i compagni uno per uno. Salutarono il presidente in tribuna, carico e determinato come sempre. Scrutarono gli undici granata e nei loro sguardi lessero supponenza. Fu allora che ebbero la certezza che in quel 21 giugno sarebbero tornati in serie A.

Perugia e Torino, una battaglia interminabile, cominciata con l’arrivo in panchina di Ilario Castagner, la guida del Perugia dei miracoli, chiamato da Gaucci nel tentativo di compierne un altro, di conquistare una insperata promozione.

Il Torino precede i grifoni in classifica, distanti sei punti dai rivali. Tutto sembra deciso, almeno fino a quando la squadra di Reja subisce un calo, mentre i Grifoni cominciano a volare e, partita dopo partita, rosicchiano punti, scalano posizioni in classifica e riescono ad affiancare i granata dopo averli sconfitti nello scontro diretto.

 

L’ultimo posto disponibile per accedere in serie A sarà deciso da uno spareggio.

 

Il caldo è intenso, la battaglia sarà lunga e stremante, non solo in campo, ma anche sugli spalti, dove l’acqua rappresenta il bene più prezioso. I cori delle tifoserie cominciano,- semmai ce ne fosse bisogno, visto il sole cocente-, a scaldare ulteriormente l’atmosfera.

 

Si parte e dopo sette minuti l’arbitro Cesari espelle Tricarico per una gomitata ai danni di Colonnello.

Ferrante, Bonomi e lo stesso Tricarico accerchiano il guardalinee Saia. Sono furiosi perché secondo loro l’espulsione non sta né in cielo né in terra. Bonomi è il più nervoso e colpisce un oggetto con un calcio.

 

Il Torino resiste fino a minuto ’76. Calcio d’angolo per il Perugia, nessuno tocchi il pallone, è Rapajc l’incaricato a calciare, anche perché, nessuno possiede un sinistro fatato come il suo.

La palla assume uno strano effetto che costringe Mercuri a spazzare in malo modo.

Manicone, centrocampista imprescindibile per Castagner, accantonato chissà per quale arcano mistero da Perotti e Bigon, la colpisce di testa anticipando un avversario.

 

“E’ tua Gianluca”, e Colonnello astuto e scaltro nel capire in anticipo le intenzioni del compagno, pennella un assist a “pallonetto” per Tovalieri che ha pochi eguali in area di rigore.

Per i difensori avversari è velenoso e letale e per questo lo chiamano “Cobra”. L’assist è troppo invitante e per il Cobra, il difensore Fattori è una preda gustosa.

 

Lo stop col destro è da scuola calcio, Fattori abbocca alla finta ma quando se ne rende conto è ormai troppo tardi.

Il Cobra ha già sferrato il suo morso letale, la palla finisce sul sinistro, parte un tiro chirurgico che beffa Bucci, un ex che dalle parti di Pian di Massiano, non amano di certo. Appare vano e disperato il tentativo in scivolata di Dorigo.

 

Grossi e Lombardo si lasciano andare ad una corsa liberatoria.

“Ormai ci siamo”, pensano, mentre Materazzi esulta verso i propri tifosi e non si rende conto che Rutzittu gli è saltato tra le braccia. Bernardini, entrato al posto di un generoso Guidoni, e Pagotto, che per un momento abbandona la propria porta, inseguono e sovrastano Tovalieri, disteso sul prato, stremato dopo aver percorso cento metri di corsa per festeggiare sotto la curva.

 

Una manona gonfiabile gialla saluta ironicamente gli avversari.

“Ciao Torino”, questa è la scritta che la simpatica manona sostiene ed indirizza verso gli avversari.

 

Quando mancano quattordici minuti e si è in vantaggio di un gol e di un uomo, con il sole che non permette quasi di respirare, a nessuno passa per la mente che l’avversario possa trovare la forza di reagire.

Errore fatale, perché considerare il Toro come un avversario qualsiasi, è blasfemia.

Il tifoso granata è stato, nel corso degli anni, colpito a morte troppe volte. Sa bene cosa vuol dire risorgere.

 

La prima, il 04 maggio del 49, quando gli Invincibili furono sconfitti dall’unico avversario che avrebbe potuto tener loro testa, quel fato beffardo e scorretto che si servì di un colpo basso per veicolarli verso l’immortalità.

 

Il pilota del trimotore FIAT G. 212 delle Avio Linee Italiane che si schiantò contro la Basilica di Superga si chiamava Luigi Meroni. Un omonimo di quel Gigi Meroni giunto a Torino come un bruco e volato per sempre in cielo in una notte d’ottobre del ’67, come una farfalla o meglio, come la farfalla granata.

 

La speranza è compagna di vita del tifoso del Torino, e quattordici minuti possono rappresentare un’eternità per l’universo granata. Ne passano solo tre e Cesari fischia una punizione per gli uomini di Reja.

La palla raggiunge Fattori che prova a crossare, ma trova la ribattuta di Materazzi che la spedisce in fallo laterale.

Fattori, sempre lui, la rimette in gioco per Bonomi che con un colpo di testa all’indietro, una vera e propria frustata, la scodella verso il centro dell’area biancorossa.

 

Un brivido corre lungo la schiena dei tifosi del Perugia, liberissimo c’è Marco Ferrante, un altro ex della partita.

Il numero 9 granata, fermo lì, in area di rigore, come Giacomo Casanova, cerca un attimo che valga una vita. Lo trova, lo coglie, pareggia. E’ 1-1, per il Perugia è tutto da rifare.

Il risultato non cambia più, si va ai calci di rigore.

 

Ad aprire le danze è Marco Ferrante, che calcia un rigore potente e centrale, con il pallone che termina in rete sotto la traversa, mentre Pagotto si è già tuffato a sinistra. Esulta Ferrante, indicando lo spicchio di stadio colorato di granata.

 

Tocca a Bernardini, il professore, l’uomo che non sbaglia mai. E’ freddo come un iceberg il professore, la rincorsa è breve, palla alla destra di Bucci che intuisce ma non può nulla. Pari e patta. Anche Bernardini si lascia andare ad un’esultanza contenuta ed invita il pubblico ad esultare e ad incitare la squadra.

 

E’ il turno di Gigi Lentini, ragazzo dal carattere ombroso, strappato da Berlusconi alla concorrenza della Juventus a suon di miliardi, dopo che qualcuno lo aveva paragonato, in maniera del tutto azzardata a Gigi Meroni.

Pagotto bacia il pallone, quasi a voler esorcizzare il momento. La rincorsa è lunga, il tiro, di destro, non è potente, ma preciso quanto basta per spiazzare l’estremo difensore umbro.

 

Se la ride Lentini, forse convinto che la contesa sia finita lì. Peccato per lui che il pallone lo abbia preso Milan Rapajc, un campione straordinario che ha sempre giocato per i tifosi, dando tutto per la maglia.

Accarezza il pallone, lo sistema con cura sul dischetto, si liscia i capelli con la mano sinistra, la stessa che aveva usato per beffare il Napoli, prende la rincorsa e calcia.

Il sinistro è  al fulmicotone, impetuoso. Ciao, ciao Bucci, di nuovo in parità.

 

Avanza Roberto Cravero, lo specialista, una bandiera del Toro, alla sua ultima gara in carriera.

La rincorsa è lunga, il tiro, lento ma preciso, è diretto alla sinistra di Pagotto che non ci arriva per un soffio.

Anche Cravero, così come Lentini si lascia andare. I granata sono in vantaggio, non solo nel punteggio, ma anche sotto il profilo psicologico.

 

“Prima o poi qualcuno del Perugia sbaglierà, e andremo in serie A” urlano i tifosi granata.

 

Prima o poi, forse in un’altra vita, non certo in questa…

 

Marco Materazzi, il capitano, ha avuto una visione: prima di raggiungere Liverpool, sponda Everton, lascerà il Perugia in serie A.

Il sinistro è potente, accarezza l’erba, si infila nell’angolo basso e per Bucci non resta altro da fare che raccogliere la sfera in fondo alla rete. Materazzi, il capitano, altruista, generoso, determinato, così giovane ed allo stesso tempo così maturo, l’uomo che otto anni dopo solleverà una coppa del mondo, esulta in maniera contenuta.

“Calma ragazzi, non abbiamo fatto niente, restiamo umili e concentrati”.

 

Il pallone finisce tra le mani di Tony Dorigo, inglese, con padre originario di Udine, voluto fortemente all’ombra della Mole da Graeme Souness, poi esonerato dopo la sconfitta contro il Verona. E’pronto Dorigo, ma prima di calciare si fa il segno della croce, come a voler scongiurare, in cuor suo, un oscuro presagio. Ma il calcio non è religione, non serve avere fede, bisogna essere più bravi e, in alcune occasioni, più fortunati degli avversari. Dorigo calcia bene, anche troppo, al punto da colpire il palo interno. L’impatto della sfera contro il montante emette un suono tanto stonato per i tifosi granata, quanto melodico per quelli biancorossi.

 

Esulta Pagotto, si lascia andare, percepisce l’importanza del momento, proprio lui che ai rigori ha già vinto una finale europea contro la Spagna, parandone due a De la Pena e Raul, mica Gianni e Pinotto.

 

“Vai Colo, siamo nelle tue mani, anzi nei tuoi piedi”.

La speranza di Colonnello, si intreccia con la disperazione di Dorigo.

“Non ho paura, caro Bucci, non fallirò, preparati perché raccoglierai la palla in fondo al sacco”.

Rincorsa breve, palla da una parte, portiere dall’altra. Perugia in vantaggio, “Colo”, come lo chiamano i compagni, lancia un bacio verso i tifosi, che esplodono di gioia.

 

Il rigore di Carparelli, anche grazie all’aiuto del palo, finisce in rete.

 

L’ultimo tiro spetta a Tovalieri, il cobra, che avanza piano verso il dischetto con lo sguardo rivolto verso la preda Bucci, ultimo ostacolo prima della promozione. Accarezza prima le punte degli scarpini, poi i calzini, quindi prende la rincorsa e calcia con il destro. Dal momento del fischio di Cesari passano quattro secondi, tempo in cui il veleno è già entrato in circolo, letale, senza speranze per il Torino.

 

Il pallone finisce in rete, il Perugia in serie A e Castagner in ospedale per la rottura del tendine d’Achille, causato da un salto di gioia finito in dolore. Gaucci esulta, lui e Castagner hanno compiuto un’altra impresa

Traversa, Bernardini, Rapajc e Manicone percorrono abbracciati il terreno di gioco, chi senza pantaloncino come Traversa e Rapajc, chi in canotta gialla come il professore.

Materazzi, Matrecano e Tovalieri festeggiano sdraiati a bordo campo.

 

Sono tutti lì, celebrano l’impresa di una squadra scesa in campo in quel 21 giugno del ’98 senza supponenza, ma con grinta, determinazione e voglia di gettare il cuore oltre l’ostacolo.

E’ l’impresa di un gruppo di uomini capace di recuperare punti ad una concorrente che, forse, ad un certo punto del cammin del campionato, sentendosi forse troppo presto in paradiso, si è ritrovata improvvisamente in una selva oscura.

 

Raffaele Garinella- Tifogrifo.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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