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La maglia numero 10 di Giovanni Tedesco, uno che non mollava mai, profumava di erba bagnata dopo un temporale

Scritto da il 23/03/2018

 

 

Ci sono notti in cui non si dorme, ci si rigira continuamente nel letto, fino a quando si prende la decisione più sensata: alzarsi, perché domani cambia tutto, squadra, città, maglia.

La Salernitana ha deciso di cedere Giovanni Tedesco al Perugia di Luciano Gaucci.

Un caffè e via, di quelli che in Campania sono speciali,- sarà forse per l’acqua,- ed un saluto al lungomare Marconi.  Si parte, nuova avventura, la maglia biancorossa numero 31, da indossare ed onorare. L’esordio è subito vincente, 2-1 in rimonta contro il Parma. Sono quattro le reti realizzate al termine della prima stagione, che vede il Perugia salvarsi pur perdendo tra le mura amiche contro il Milan, campione d’Italia in volata, ai danni di una Lazio, scivolata sul più bello. La seconda stagione si apre con l’arrivo di Carletto Mazzone, “Er Magara”.

Tedesco lascia la maglia numero 31, la 4 è del capitano, Renato Olive, ed allora sceglie la 10.

Ci sono notti in cui non si dorme, ci si rigira continuamente nel letto, fino a quando si prende la decisione più sensata: alzarsi, perché tanto è inutile continuare a lottare contro Morfeo, soprattutto quando decide di esserti nemico e non alleato.

Un caffè e via, sguardo fuori dalla finestra, il sole introduce un nuovo giorno. E’ domenica, 14 maggio 2000. Roma sarà anche bella  “quann’è er tramonto”, e, soprattutto, “quann’è sera”, come canta Venditti, ma è all’alba che appare unica, splendida, indescrivibile. Tito Livio affermò che per volontà degli Dèi celesti, la sua Roma sarebbe diventata capitale del mondo.

Qualche secolo dopo, sempre a Roma, in un pomeriggio soleggiato di maggio, gli Dèi sarebbero diventati biancocelesti, e la Lazio si sarebbe laureata campione d’Italia. La squadra più antica della capitale, dai colori che omaggiano la Grecia, e con l’aquila simbolo di potenza, vittoria e prosperità molto cara a Zeus, avrebbe vinto il primo scudetto del nuovo millennio. Sono in pochi a crederci. Nessuno scommette sulla vittoria finale, neanche i più ottimisti, che al più, si augurano uno spareggio contro la favorita Juventus. Difficile anche questo, perché i bianconeri giocano a Perugia, contro i Grifoni già salvi.  Gli juventini dimenticano che nel Perugia milita Giovanni Tedesco, uno che non molla mai, che non vuole perdere neanche in allenamento.

Ci sono notti in cui non si dorme, allora tanto vale alzarsi. Un caffè e via, sguardo fuori dalla finestra, il cielo è grigio, ma a Perugia, non piove. Almeno per ora.

In lontananza i campanili di San Pietro e San Domenico, i tetti, la torre degli Sciri. Perugia è sempre bella, con o senza pioggia, coperta dal cielo grigio, o illuminata dai raggi del sole.

Il suo fascino è senza tempo.

In quella domenica di maggio, Perugia si prepara ad onorare il calcio, a spegnere le polemiche su un campionato “avvelenato” dai colpi di coda. La settimana prima al Delle Alpi, la vecchia signora sconfigge il Parma per 1-0, ma l’arbitro De Santis annulla, a tempo praticamente scaduto, una gol valido a Fabio Cannavaro. Sarebbe stato l’1-1, l’aggancio da parte della Lazio.

E invece i biancocelesti sono sempre distanti due punti dalla vetta.

Tutti, o quasi, pensano che lo scudetto prenderà la strada di Torino e che, così come nel precedente torneo, la Lazio vedrà il proprio avversario di turno festeggiare a Perugia.

Dopo il Milan, la Juventus. Tutti, tranne Luciano Gaucci, che non ci sta a passare da vittima sacrificale. E poi gli juventini dimenticano che nel Perugia gioca Giovanni Tedesco, uno che lotta fino all’ultimo minuto, perché, come diceva Ernesto Guevara, detto “El Che” solo chi lotta può perdere, ma chi non lotta, ha già perso. E Giovanni Tedesco è un lottatore.

Sono le 15:00 di un 14 maggio in cui pochi, da Roma a Perugia, hanno chiuso occhio.

A pensarci bene, forse a Torino, dove sono già pronti i festeggiamenti, hanno dormito un po’ di più.

La Juventus è squadra abituata a vincere, a gestire pressioni che solo sfide decisive, da dentro o fuori, sanno regalare. Si comincia, pronti via, e due calci di rigore portano avanti la Lazio sulla Reggina. La Juve è ferma sullo 0-0, ma se a Roma c’è un sole primaverile che mette di buonumore, pensando all’estate, e al bello che con la calda stagione deve ancora arrivare, su Perugia si abbatte un violento temporale, un vero e proprio nubifragio. Si dice che dopotutto, la pioggia cade come ci si innamora, per disattendere le aspettative. All’intervallo le squadre sono appaiate in testa alla classifica, avviate verso uno spareggio. All’Olimpico, a dir la verità, ci credono in pochi, e poi, c’è la solita abile voce a spegnere facili entusiasmi,  “tanto vedrete che prima o poi un gol lo fanno e addio sogni”.

Mentre a Roma si riprende a giocare alle 16:04, a Perugia si torna in campo alle 17:13.

Sotto un diluvio universale, quando l’orologio indica le 17:18, quasi quinto minuto della ripresa, un tiro potente di Alessandro Calori, di fede juventina, che ha Scirea come idolo, si infila nell’angolo basso della porta di Van der Sar.  Esultano i tifosi biancorossi, si esaltano quelli biancocelesti. La Lazio sarebbe campione d’Italia, anche se mancano ancora 40 minuti, e poi c’è sempre chi, forse per reale convinzione, forse per scaramanzia, si dichiara poco fiducioso, perché “tanto vedrete che prima o poi due gol li fanno, e addio sogni”.

A Roma finisce 3-0 per la Lazio sulla Reggina, partita dominata dall’inizio alla fine. L’Olimpico è incollato alla radio, ipnotizzato da Riccardo Cucchi, inviato al Curi. La Juventus non riesce a ritrovarsi, come smarrita nella pioggia.

La classe di Del Piero è imbrigliata dalla tenacia di Giovanni Tedesco, uno che non molla mai, che di perdere, proprio non ne vuol sapere. Il 10 bianconero chiuso nella morsa del 10 biancorosso.

Eh sì, perché proprio in quella stagione, e solo in quella, che di lì a poco sarebbe passata alla storia, Tedesco indossa la maglia numero 10.

Lo sguardo di Ancelotti mira il vuoto, incredulo, spaesato, il tempo scorre, non può fermarlo neanche la pioggia. Alle 18:04 del 14 maggio del 2000 quando Riccardo Cucchi da Perugia, dichiara la Lazio campione d’Italia 1999/2000, all’Olimpico Bruno Gentili descrive con la sua voce divinamente poetica, la gioia del popolo biancoceleste.

 

William Somerset Maugham, scrittore e commediografo inglese, scrisse un tempo che la pioggia cadeva nello stesso modo sul giusto e sul malvagio e per nessuno esisteva un perché.

Non ci furono giusti o malvagi in quel 14 maggio del 2000, ma solo vincitori e vinti.

Qualcuno vide un nubifragio, qualcun altro un arcobaleno. Altri ancora avevano le maglie inzuppate che profumavano di erba bagnata dopo un temporale, come la numero 10 di Giovanni Tedesco, uno che non mollava mai.

Raffaele Garinella-TifoGrifo.com

Scritto da
il 23/03/2018.
Registrato sotto PERUGIA CALCIO, Primo Piano, Un tuffo nella memoria del Grifo.

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